Integrazione, vita nelle periferie e storie di bullismo: ecco la web radio che mette a confronto gli under 18
L’integrazione è un processo a due sensi. È per questo è importante coinvolgere non solo i ragazzi stranieri, ma anche gli italiani. Come? L?esempio lo dà Underadio, il progetto di Save The Children che promuove incontri tra studenti per combattere ogni forma di discriminazione. L’esperimento è nato a Roma ma oggi coinvolge circa duemila studenti e 144 docenti in 36 scuole medie nei quartieri periferici anche di Torino e Napoli. «Zone dove la scuola ha un ruolo di presidio fondamentale per trasmettere valori come integrazione e diritto di cittadinanza» spiega Emiliano Sbaraglia che nel 2011 ha partecipato alla nascita del progetto e che oggi coordina il laboratorio nella scuola di Tor Bella Monaca dove insegna. L’avventura di una radio-web realizzata direttamente dai nuovi italiani (di qualunque origine essi siano) garantisce un confronto libero: « Parliamo di bullismo, ma anche di partecipazione attiva e del futuro che vorrebbero costruirsi - dice - Underadio è allo stesso tempo mezzo e fine per migliorare le capacità linguistiche e la scrittura: ingredienti fondamentali per lavorare con le nuove generazioni sulla ricchezza delle loro tante diversità, ascoltando direttamente la voce e il ritmo vitale di questi ragazzi» . fargli capire che per loro sarà importante imparare l’italiano - spiega Piva - Ci sono poi gli analfabeti e i minori: con loro è tutto più complesso».
È inutile, infatti, insegnare la grammatica a un bimbo che deve affrontare prima di tutto lo spaesamento di una nuova città e di nuova lingua. Lo sanno bene i 90 volontari di «Più culture» che da anni entrano nelle scuole di Salario, Parioli e San Lorenzo per prendersi cura dei bambini stranieri appena arrivati. «All’inizio, superare le diffidenze e la burocrazia è stato difficile. Ma ora conoscono il nostro lavoro e siamo content i quando gl i insegnanti ci consultano per la valutazione dei ragazzi» dice la presidente Ghisani.
Per quattro ore a settimana, «gli educatori si dedicano a uno o due ragazzi per volta: una bella differenza con le maestre che in classe invece hanno davanti hanno 25 studenti» spiega Ghisani. Non si tratta solo di tempo (i progetti seguono i ragazzi per diversi anni), ma anche di strumenti: «Mettiamo da parte libri e sussidiari, puntiamo sull’interazione e sul gioco. Costruiamo unità didattiche basate sulle necessità e sulle difficoltà di ogni ragazzo». Esistono corsi serali anche per i genitori: «Lo scorso anno alla primaria Mazzini erano in 22: abbiamo rafforzato il rapporto di queste famiglie con la scuola».