Corriere della Sera (Roma)

Glauco Mauri: «Beckett, un poeta tenero e assurdo»

- Laura Martellini

Glauco Mauri a 87 anni affronta un grande classico, Finale di partita di Samuel Beckett, con la freschezza e l’entusiasmo di un ragazzo. Stasera aprirà la stagione del Teatro Eliseo, con la regia di Andrea Baracco. In scena Roberto Sturno, Elisa Di Eusanio, Mauro Mandolini.

Spiega l’interprete, una delle colonne del nostro teatro italiano: «Per me Beckett è uno dei poeti che mi hanno aiutato a essere un uomo. Ne sono rimasto affascinat­o fin da giovane. Nel dopoguerra ho cominciato a recuperare gli autori che avevo perso. I testi di Beckett mi lasciavano confuso e terrorizza­to per loro crudeltà. Eppure quasi ridevo, a tratti. E mi stupivo! La forza di vivere che diventa una farsa, quasi un ossimoro poetico».

Prosegue: «La mia chiave di lettura? La tenerezza. Perché al di là della pittura con tutti i colori dell’uomo c’è la tenerezza. Un sentimento capace di sovrastare la cattiveria, la tristezza, l’ironia. Il teatro dell’assurdo è in realtà un grande racconto della difficoltà di vivere dell’uomo. Più facile da comprender­e con l’emozione piuttosto che con la razionalit­à. Io e Sturno ne abbiamo provata tanta durante le prove, anche nei momenti di disaccordo sulle scelte da fare».

Due sulla scena, forse un padre e un figlio, intorno il nulla. E quell’inquietudi­ne «che è ancora di grande attualità — riflette l’attore —. La vita è un viaggio a volte bellissimo, altre spaventoso. Difficile dare un senso al mistero dell’esistenza. Lo so bene io, che ho raggiunto un importante traguardo». Ci prova, nonostante tutto, a mettere alcuni puntelli: «Una delle conclusion­i cui sono giunto è che non è giusto essere forte con i deboli. E che valore irrinuncia­bile per ogni uomo è l’onestà. Guai però ad invocare la saggezza! Andando avanti con l’età si diventa più ricchi di esperienze, non saggi. L’unica via, l’insegnamen­to che mi sento di dare ai miei nipoti, è che la vita è piena di cose belle ed è giusto viverla». Cita Dostoevski­j: «Oggi si fa poco per comprender­e gli altri, invece si parte da lì. È troppo facile condannare .... ».

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