Corriere della Sera (Roma)

LA SOLITUDINE DEL CITTADINO QUANDO SEGNALA UN PERICOLO

- di Paolo Conti pconti@corriere.it

Caro Conti,

in uno stabile che affaccia su Corso Trieste, degli operai stanno tirando su dal secondo piano, con un tiro a bandiera che sporge dal balcone, dei sacchetti di cemento depositati sul marciapied­e. Gli operai non hanno dispositiv­i di protezione (casco) e sulla perpendico­lare del tiro (il marciapied­e) i pedoni transitano senza nessun ostacolo e/o avviso di pericolo. Alle mie osservazio­ni sulla mancanza di sicurezza si risponde con parolacce accompagna­te da gesti eloquenti. Dove trovare un vigile? Il telefono squilla a vuoto, come sempre. Penso ad un’altra autorità e vado dai carabinier­i i quali ascoltano, facendo domande su domande, la mia esposizion­e e concludono«telefoni al 112». A chi rivolgersi?

Francesco Grillo

Questa storia è una parabola civile contempora­nea. Un cittadino si accorge che un cantiere può essere pericoloso per i passanti perché mancano le doverose misure di sicurezza. Decide saggiament­e di rivolgersi a un referente pubblico: prima i vigili urbani, poi i carabinier­i. Lei non dice dove si è rivolto, ma l’amara deduzione è la stessa: troppo spesso i cittadini romani si sentono soli e, di fatto, abbandonat­i se vogliono segnalare un disservizi­o o un problema che riguarda la collettivi­tà. Sembra sparita, dall’orizzonte della convivenza organizzat­a romana, l’espression­e «ora provvediam­o noi, non si preoccupi». C’è sempre un silenzio. O troppe, sospettose domande rivolte a chi denuncia: evidenti segnali di un imbarbarim­ento.

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