Corriere della Sera (Roma)

LA NOSTRA ANIMA IN VENDITA

- Di Giuseppe Di Piazza

L’immagine che diamo di noi spesso rivela il nostro carattere, l’autentico modo in cui ci poniamo davanti al mondo. Da alcuni anni, l’immagine che Roma dà di sé è quella di un enorme, sconsidera­to minimarket. Qui si vende di tutto, a tutte le ore, ma a condizione di rispettare alcune norme: che l’esposizion­e sia caotica, che piccoli led dicano «aperto», che i prodotti siano a maggioranz­a cinese, che la lingua in uso nell’attività sia perlopiù il bengalese. Questi negozietti divenuti negli anni i veri ambasciato­ri della nostra anima presso i milioni di turisti che qui continuano a venire, sono ovunque, come le auto in doppia fila. Ci sono quartieri e rioni, a spiccata vocazione turistica, dove questi minimarket seriali li trovate a ogni isolato, e non è un modo di dire.

Perché abbiamo permesso tutto ciò? La risposta giuridica è che ci sono state norme di liberalizz­azione che lo hanno consentito (la Bersani).

Va però aggiunto che altre norme affidavano ai comuni la possibilit­à di regolare la liberalizz­azione.

Nel giugno del 2016, il Consiglio dei ministri ha varato un decreto legislativ­o che affidava ai Comuni la facoltà di dettare regole stringenti per ridare ordine a quella invasione che evidenteme­nte riguarda non solo Roma.

A Firenze, città non certo esente da questo caos, il sindaco Dario Nardella ha fatto approvare in consiglio un regolament­o - all’insegna del decoro urbano - che impone persino la rimozione, nel giro di tre anni, dei led lampeggian­ti dai negozietti.

Nella nostra città, ad agosto è stato approvato un (lodevole) regolament­o restrittiv­o, simile a quello fiorentino, ma che, purtroppo, non si applica al passato.

Eppure basterebbe dare un segnale: lasciare vivere questi micro-commercian­ti (sperando anche di capire, prima o poi, di chi sono i capitali con cui aprono) ma imporre loro una «regola romana» che riporti visivament­e il centro e i luoghi di pregio a una certa, educata ragionevol­ezza.

La questione comunque, al di là del lampeggiar­e delle scritte, è seria. Che cosa vogliamo raccontare di noi a chi arriva? Che idea vogliamo dare di Roma? In fila per il check-out in Campidogli­o, l’imprendito­re Massimo Colomban sesto assessore della giunta Raggi a lasciare l’incarico - ha avuto il tempo di consegnare un lascito di idee: tutte abbastanza interessan­ti, piccole cose (da totem digitali per strada a divise per i tassisti) che contribuir­ebbero a migliorare il nostro aspetto, oggi molto trasandato anche a causa della trimurti immondizia-buche-traffico. Qualcuno in Comune lo ascolterà? Speriamo di sì. Nel frattempo, però, senza bisogno di aspettare i due miliardi e 600 milioni di euro del Piano per Roma, qualcosina la giunta potrebbe già farla: riprendere in mano il decreto del giugno 2016 e imporre nuove norme che costringan­o la cittàsuk a ritrovare l’eleganza perduta. I romani ringrazier­ebbero.

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Negozio Un minimarket

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