Momix per sempre Il ritorno con allegria al Teatro Olimpico
Pendleton e la sua compagnia domani in scena al Teatro Olimpico per festeggiare trentacinque anni di carriera
Con quel taglio ordinato di capelli, gli occhiali professorali, lo sguardo fisso, Moses Pendleton sembra uno dei giovani intellettuali impoveriti di Cechov - scrivevano a suo tempo i critici americani – ma quel giovane coreografo (convenivano) era chiaramente un prodotto del suo tempo: nel 1971 aveva fondato i Pilobolus, compagnia di danza moderna, ginnico-acrobatica, iconoclasta, debitrice della lezione di un coreografo come Paul Taylor che combinava sport e danza. Un percorso che Pendleton – nato nel 1949 nel Vermont, cresciuto in una fattoria, danzatore e coreografo, ma prima ancora campione di sci, professore di letteratura inglese, appassionato di cinema fotografia lirica e tante altre cose – proseguì con la compagnia dei Momix, che debuttò proprio in Italia nel 1980, al teatro Nazionale di Milano. Il nome (un mangime per bovini) era lo stesso di un assolo «a tre gambe» creato per le Olimpiadi invernali di Mosca: lui che danzava in doppiopetto bianco, Borsalino, bastone, occhiali scuri, «e le scarpe, perché con i Pilobolus eravamo sempre a piedi nudi».
A ogni anniversario, Moses Pendleton si diverte a festeggiare i trionfi della sua compagnia: allora «Viva Momix Forever» come recita il titolo autocelebrativo dello spettacolo che da domani al 5 novembre sarà al Teatro Olimpico. Ideato per festeggiare i trentacinque anni dei Momix, presenta le coreografie storiche unite alle nuove creazioni: MomixClassics, Passion, Baseball, Opus
Cactus, SunFlower Moon, fino a Bothanica e Alchemy. «Istantanee di danza», per dirla con il titolo del libro curato da Corrado Ruggeri con le foto di Max Pucciariello che raccontano l’avventura dei Momix.
«La mia Bibbia è la natura, le piante, gli animali, i minerali – ha detto Pendleton - Questa è l’essenza dei Momix: si vede un fiore in un uccello, un essere umano in una roccia, una donna in un uomo. Bisogna usare la fantasia, l’immaginazione. Nei nostri spettacoli cerchiamo di provocare quella che io
chiamo optical confusion».
A suo agio fra danza e cultura popolare, gli appassionati più intransigenti l’hanno definito un coreografo d’intrattenimento, ma hanno riconosciuto che il successo non ha compromesso la sua fama di artista inventivo. Agli esordi, nel recupero del gesto quotidiano proprio della postmodern dance americana, aveva utilizzato in maniera ironica trucchi teatrali e oggetti semplici; poi nel ‘90 era passato alla tecnologia video, effetti ottici come in un caleidoscopio, i corpi dei danzatori trasformati in silhouette fosforescenti, in girasoli o in misteriose creature animali, su musiche da Vivaldi alla New Age.
«Momix è una compagnia di dancer-illusionist che si concentra sulla bellezza della forma umana - ha spiegato il coreografo - ma anche sulla bellezza della natura, della vita stessa. Un mondo surreale, un tuffo nel flusso d’incoscienza. Il corpo umano è il mezzo principale dei Momix, i danzatori non raccontano una storia concreta, evocano un teatro di luce e di corpi fisici. Andare via, volare, danzare nell’aria».