Nel doc di Jacquot i sessant’anni del Festival di Spoleto
Durante il Festival di Spoleto, musicisti e giocolieri si mescolano ai turisti. Una volta si raggiungevano i teatri (anche) in carrozza; oggi si va a piedi. «Circondata da montagne, è una contrada popolata da molte taverne». Così Montaigne descrive quel piccolo gioiello medievale. Ma prima di Gian Carlo Menotti, era come se non esistesse. «Era una città povera, morta, bella. Ho un debole per il bello», dice Menotti in un vecchio filmato in bianco e nero.
Alla Festa del cinema oggi alle 19.30 al Maxxi arriva Il mondo in scena. Spoleto 60 anni di Festival, un documentario del celebre regista francese Benoît Jacquot. Il quale per raccontarlo «usa» come grimaldello Giorgio Ferrara, che dieci anni fa ha raccolto il bastone artistico da Menotti. «Insieme con Gérald Caillat abbiamo scelto di dipingere questi sessant’anni in forma poetica, attraverso associazioni radicali, rime, cesure di ritmo, scandite dalla voce di Ferrara».
Devoto all’arte e a se stesso, Menotti, dandy, civettuolo, irritante, affascinante, raccontò di «avvertire il bisogno di sentirmi necessario e indispensabile». Scelse Spoleto per la vicinanza con Roma e per l’incredibile concentrazione di teatri, piazze, chiese sconsacrate che si potevano adattare a palcoscenico. Menotti ospitava anche ciò che era lontano dal suo gusto («a Spoleto vanno in scena diversi spettacoli che non mi piacciono affatto»), mentre l’era di Ferrara rispecchia il suo gusto. Prima di tutto ha chiamato registi che lui chiama «i miei fari», Luca Ronconi e Bob Wilson, i quali sono stati la spina dorsale degli ultimi anni. Dicono entrambi una piccola bugia e cioé che a Spoleto non ha importanza il côté mondano. Passato e presente si rincorrono nelle immagini: ecco Brigitte Bardot e Marcello Mastroianni, bellissimi, giovani; ecco Adriana Asti e Woody Allen; ecco Ezra Pound e Nureyev; ecco soprattutto La Traviata di Luchino Visconti diretta da Thomas Schippers, che ha una forte somiglianza fisica con Burt Lancaster, e Leonard Bernstein, lui sì, altra «invenzione» artistica di Menotti.