Bit e abbonamenti, flop Atac nel 2017: persi già 3 milioni
Rispetto al 2016 calo negli incassi dei biglietti
Roma non paga il biglietto. I dati del 2017 sulle vendite dei titoli di viaggio - sia abbonamenti sia B.i.t - inquadrano il caso della Capitale all’interno del Lazio. La flessione globale della vendita di biglietti e abbonamenti vale 247.470 euro di perdita, ma se nel Lazio la performance dei ticket Metrebus (validi anche per Cotral e Trenitalia) cresce del 5,4%, nella Capitale è sotto di 1,5 punti percentuali, ovvero 2 milioni e 764 mila euro di perdite. E anche il B.i.t. non va meglio: -2,3% e perdite per oltre 2 milioni.
Roma non paga il biglietto. O meglio, i dati 2017 sulle vendite dei titoli di viaggio - sia abbonamenti sia B.i.t - mettono a fuoco come la Capitale sia un vero e proprio caso all’interno del Lazio. Un caso così pesante che, da solo, riesce a trascinare verso il segno meno il dato globale, e nonostante il trend positivo delle altre province della regione. Del resto i numeri parlano chiaro: la vendita su scala regionale dei biglietti e degli abbonamenti Metrebus nei primi otto mesi dell’anno fa registrare 247.470 euro in meno rispetto allo stesso periodo del 2016. Per una flessione negativa globale dello 0,1% che, raffrontata con i dati scorporati dal prospetto complessivo, rivela un andamento a due velocità: se nel Lazio la performance dei ticket Metrebus (validi anche per Cotral e Trenitalia) cresce del 5,4% - con entrate superiori a 2 milioni e mezzo - nella Capitale è sotto di 1,5 punti percentuali, che equivalgono a 2 milioni e 764 mila euro di perdite.
I dati, insomma, dicono che è Roma a frenare la volata, con un crollo verticale tra luglio (-5,8%) e agosto (-10,9%): mesi nei quali la città si spopola di romani, per quanto il deserto morettiano si limiti ormai alla settimana di Ferragosto, ma certamente non di turisti. Ma è scorrendo i numeri del B.i.t. (il biglietto integrato a tempo da 1,50 euro valido su bus, tram e metropolitane nel perimetro urbano), che l’asticella si abbassa ulteriormente enfatizzando il caso Roma: le vendite diminuiscono del 2,3% (- 2 milioni e 46 mila euro). Anche in questo caso è l’estate il periodo nero: tra l’11 e il 12% in meno a luglio e agosto. Ma stavolta, sulla sfiducia degli utenti, possono pesare come il piombo gli ultimi, travagliati, mesi della municipalizzata capitolina: il caos seguito alle dimissioni di Bruno Rota, fine luglio, l’arrivo della nuova governance e, su decisione politica del Campidoglio, l’entrata di Atac in tribunale con la procedura del concordato preventivo. Il tutto mentre il servizio conosceva il suo periodo più nero tra mezzi guasti e crisi finanziaria dell’azienda: tantissimi i bus fermi per guasti assortiti nelle rimesse e senza grosse possibilità economiche per le riparazioni; altrettanti i mezzi usciti in strada ma rimasti comunque bloccati in panne con le quattro frecce accese oppure letteralmente andati a fuoco in mezzo al traffico. Elementi che, evidentemente, hanno portato al crollo delle vendite dei biglietti. E, forse, dell’uso dei bus comunali.
E però, nel piano di risanamento di Atac, l’aumento della vendita di titoli di viaggio è tra gli obiettivi strategici per far affluire liquidità ed elevare gli standard, invertendo la parabola discendente che ha spinto l’azienda sull’orlo del baratro. Si inserisce in questa prospettiva la gara indetta dalla municipalizzata per la fornitura di 420 milioni di ticket nei prossimi quattro anni in lotti annuali da 105 milioni. Venderli e avere la sicurezza che tutti siano timbrati dall’utenza sarebbe già un grande risultato, anche perché potrebbe garantire all’azienda il quid (160 milioni di euro l’anno) necessario all’ordinaria manutenzione del parco mezzi.
Stando alle statistiche, però, è corretto parlare di un traguardo molto ambizioso. Del resto la fotografia del qui e ora è molto lontana dai risultati che si vogliono raggiungere. Se a Roma si tende ad acquistare meno biglietti che nel resto del Lazio è anche per la di-
saffezione degli utenti, esacerbati dai continui disservizi. Nell’ultimo rapporto dell’Agenzia per il controllo e la qualità dei servizi pubblici locali, diffuso a luglio di quest’anno, il 68% degli intervistati si dichiarava poco o per nulla soddisfatto dal trasporto di superficie. Un picco di malumore in risposta a un’offerta ritenuta inadeguata che disincentiva i comportamenti virtuosi. Non può essere un’attenuante, ma è innegabile che sul 26% di evasione registrato nel 2016 pesino anche i lunghi tempi d’attesa alle fermate, il parco mezzi vetusto con un’età media dei bus che sfiora i 13 anni, la metropolitana sovraffollata (quando non allagata al primo nubifragio), i guasti alla rete elettrica che paralizzano il traffico sotterraneo e i torpedoni che prendono fuoco. A misurare il malcontento sono i social network che raccontano l’odissea quotidiana dei pendolari. E, a leggere uno degli ultimi dati forniti da via Prenestina prima di imboccare la strada del concordato, i segnali non sono incoraggianti: ad agosto i chilometri coperti in superficie sono scesi del 21,99%. Partenza tiepida anche per l’esperimento Bip & go, ovvero lo spostamento di personale amministrativo dagli uffici ai controlli ai tornelli della metro: poche le adesioni, con ritardi nelle pratiche per ottenere il patentino di verificatore. Nel frattempo, il malfunzionamento delle emettitrici a bordo degli autobus scoraggia anche chi vorrebbe vidimare il biglietto, ma se lo vede risputare indietro intonso.