Spadino sui tetti
Giacomo Ferrara è Teco nel lungometraggio «Guarda in alto» di Fulvio Risuleo, passato ad Alice nella città
Uno, Alberto Anacleti detto Spadino, si muove nei sottofondi della città, ai piani più bassi di quel mondo di mezzo di cui sogna di ribaltare regole e gerarchie. Anche l’altro, Teco, apprendista fornaio, desidera una vita migliore e, cercandola, si trova a vagare sui tetti di Roma. «Due personaggi agli antipodi ma che non avrebbero potuto esistere uno senza l’altro». Giacomo Ferrara, 26 anni, lo Spadino di Suburra, è il protagonista di Guarda in alto, il lungometraggio di debutto, passato a Alice nella città, del regista romano Fulvio Risuleo che due anni fa fu premiato al Festival di Cannes per il corto
Varicella, in gara alla Semaine de la critique.
Un «film d’avventura», lo definisce l’autore che ha pescato da reminiscenze letterarie — da Verne a Calvino, da Collodi a Hugo Pratt — per costruire l’odissea di Teco sopra i palazzi della Capitale. «Una specie di
road movie ambientato sui tetti di Roma, un viaggio in una città parallela, trasfigurata — ha spiegato Risuleo, di un anno più giovane di Ferrara — Un mondo retto da un sistema diverso dove tutto è possibile, raccontato come fosse vero. Sui tetti convivono molti bizzarri personaggi che hanno come comune denominatore il fatto di voler fuggire dalla società, dal mondo di sotto».
I due si sono conosciuti al provino. «Stavo girando Il permesso di Claudio Amendola, un incontro fondamentale per me. E sono rimasto subito colpito dalla creatività di Fulvio, felice di entrare nel suo mondo fantastico, ti porta a giocare con lui». Tra bande di ragazzini mascherati e mongolfiere, apicultori visionari, nudisti filosofi. Hanno girato nel settembre dell’anno scorso, come location i tetti di palazzi tra Esquilino, Prenestino, Pigneto, Porta Maggiore, Termini, qualche tratto di Mura Aureliane. Nel cast anche Lou Castel e Ivan Franek. «Il mio personaggio è una sorta di esploratore e anche una guida, curioso e emotivo. Si aspetta di più dalla vita, è in cerca di qualcosa e non sa neanche lui bene cosa. Ogni giorno giravamo su un tetto diverso — racconta l’attore —, ogni giorno una scoperta». Che ha cambiato il suo modo di vedere la città. «Adesso cammino a testa in su, vedo tutto con altri occhi».
Ci è arrivato diciottenne, subito dopo il diploma, per studiare recitazione. «Sono nato in Abruzzo, in provincia di Chieti. I miei gestiscono un hotel sui monti della Majella. È stato lì a otto anni che ho deciso di diventare attore». Merito, racconta, degli animatori dell’albergo che lo coinvolgevano negli spettacoli per i clienti. «Mi hanno messo loro sul palco e ho capito che mi piaceva troppo». L’incontro fondamentale è stato con il suo maestro Alessandro Prete, ancora oggi suo acting coach. Il debutto al cinema è arrivato con
La prima volta di mia figlia di Riccardo Rossi, quindi Suburra di Stefano Sollima, Il premio di Amendola e il ritorno nei panni di Spadino nella serie targata Netflix. «Ho iniziato a girarla due settimane dopo la fine di Guarda in alto. E il mio Spadino deve molto a Teo che mi ha riportato ai miei diciott’anni, alla libertà creativa, allo stupore». Prima di salire sui set a un passo dal cielo, racconta, seguiva un training tutto suo. «Guardavo spezzoni de La storia infinita o I Goonies. Un aiuto per entrare nella dimensione onirica di Fulvio».
Ispirazioni L’autore ha pescato da reminiscenze letterarie — da Verne a Calvino, da Collodi a Hugo Pratt