Domenica laziali tutti uniti, pañolada contro il razzismo
La proposta dello scrittore-tifoso Giancarlo Governi: «Dimostriamo che i laziali sono gente perbene»
Che c’entro io con quei quindici sconsiderati che hanno usato l’icona di Anna Frank due domeniche fa, in curva Sud all’Olimpico a mo’ di insulto? Che c’entrano le migliaia e migliaia di tifosi laziali perbene e civili che aborriscono il razzismo l’antisemitismo e ogni forma di inciviltà?
Ho provato a fare un elenco dei tifosi laziali più in vista e ci ho trovato fior di scrittori, di filosofi, di scienziati, di artisti e anche di politici di tutti gli schieramenti. Ebbene che c’entrano costoro? Perché la tifoseria laziale deve essere additata al ludibrio del mondo come un covo, una sentina di razzisti e di violenti, quando mai, neppure nelle sue manifestazioni più estremiste si è macchiata di delitti, di massacri e di accoltellamenti, che invece sono entrati in abbondanza all’interno di altre tifoserie confinanti?
Allora perché sulla Lazio si è abbattuta questa tempesta mediatica a cui abbiamo assistito in questi giorni? Questo per me rimarrà sempre un mistero. Arturo Diaconale, portavoce del club, ha detto che tutto è stato gonfiato ad arte per screditare il presidente Claudio Lotito, che stava prendendo troppo potere all’interno degli organi dirigenti del calcio italiano. Può darsi, ma non basta come spiegazione della mobilitazione di tutto un mondo ostile nei confronti di un club nato 117 anni fa all’insegna dell’universalismo e della fratellanza, simboleggiata dai colori della Grecia patria dello sport olimpico, quando il secolo nuovo accendeva ideali e speranze. Nei confronti di un club dichiarato ente morale, per aver trasformato i suoi campi di allenamento in orti, che servivano a sfamare il popolo della capitale, mentre gli atleti lasciavano il proprio sangue e la propria vita nelle trincee della Grande Guerra. È questa stragrande maggioranza civile che deve far sentire la propria voce, che deve riscoprire l’orgoglio di essere laziali, che deve respingere le accuse infamanti di razzismo e di antisemitismo.
Gli stessi tifosi ultrà, coordinati nel gruppo degli Irriducibili, che sono tornati a seguire la squadra con il loro tifo e che si sono resi protagonisti di esemplari gesti di civiltà, come è successo a Nizza, devono sentirsi vittime, anche loro, di quei 15 sconsiderati e anche di quei pochi che fanno «buu» ai giocatori di colore.
Gli stessi tifosi romanisti, spesso coinvolti in fatti ancora più gravi, di intolleranza e di violenza, devono far sentire la loro voce, anche a sostegno dei tifosi laziali perbene, per respingere generalizzazioni ingiuste anche nei loro confronti. La Lazio deve trovare ogni forma per tutelare l’immagine macchiata con iniziative che hanno lo scopo di richiamare tutta la tifoseria silente e pacifica per mostrare all’Italia e al resto del mondo che laziale non è sinonimo di razzista.
Favorendo l’ingresso delle famiglie, dei ragazzi, degli anziani, in modo da avere uno stadio colorato di biancoceleste che riprende la bella iniziativa spagnola della «pañolada», migliaia di fazzoletti bianchi che sventolano contro ogni forma di razzismo.
L’idea «Il club porti allo stadio famiglie, giovani e anziani. Non meritiamo di essere additati»