«Il mio Arpagone, Avaro quasi pop e uomo senza età»
Benvenuti protagonista del testo di Molière, regia e adattamento firmati da Ugo Chiti
Vecchio, forse. Paranoico e taccagno, senza dubbio. Indiscutibilmente moderno. L’Arpagone di Alessandro Benvenuti ne L’avaro firmato da Ugo Chiti, in partenza stasera al Teatro Parioli, rompe la tradizione ma non tradisce Molière. «Un classico ma a modo suo — dice l’attore — e a modo mio. Il confronto con un testo così rappresentato ha spinto sia me che Chiti a scavare nei personaggi e nella struttura dell’opera per liberarla dagli stereotipi e restituirla nuova ma autentica».
Alleggerito, tagliato, accelerato e intenso nelle implicazioni psicologiche. «Potrei dire addirittura pop — commenta Benvenuti — con una riscrittura che proietta subito il pubblico verso il cuore della vicenda e del personaggio grazie a un inedito prologo».
Non è l’unica licenza di Chiti. «Ha aggiunto anche un epilogo, che è un’acuta riflessione sulle malattie del denaro, e diversi personaggi minori — spiega Benvenuti — cavalcando una potente sovrapposizione di sottotrame e di stili, muovendosi dalla Commedia dell’Arte alla farsa, fino a sfiorare atmosfere da fumetto».
Il ritmo è incalzante, come la finanza. «In un attimo si spostano capitali, con un clic si guadagnano e perdono interi patrimoni — dice l’attore — e alla stessa velocità corrono ombre, paure e ossessioni assolutamente classiche ma terribilmente moderne».
L’avaro di Chiti e Benvenuti (nell’allestimento con Arca Azzurra Teatro) racconta il presente ma non ha bisogno di evidenti trasposizioni temporali o forzate interpretazioni. «Segue con grandissimo rispetto la vicenda, i tempi e la lettera del classico — assicura Benvenuti — ma è allo stesso tempo una versione del tutto innovativa. Se vogliamo più sentimentale, psicologica, ma solo per amplificare il sarcasmo e le intenzioni di Molière».
Con questo lavoro Chiti prosegue il suo filone di riscritture dei classici, innestando le vicende nel linguaggio, forte, crudo e comico che gli è proprio. «Da un lato semplifica e sintetizza, dall’altro moltiplica i piani recitativi — dice l’attore — e all’interno di questa sua visione ho trovato la libertà di mettere a punto il mio Arpagone: un personaggio che non è incastrato nella drammaturgia. Un uomo che sembra non avere età. Che a volte si comporta in modo irragionevole come un bambino e altre sembra il più strategico degli uomini calcolatori». Amaro e irresistibilmente comico, tra matrimoni (mal) combinati, equivoci, segreti, prestiti al limite dello strozzinaggio e un furto clamoroso, lo spettacolo resterà in scena nella sala dei Parioli fino al 19 novembre.