Haber tiene lontana la compassione
Florian Zeller, l’autore de Il padre in scena all’Ambra Jovinelli, è un francese di 38 anni. Ma la sua commedia ha una certa età, sembra più vecchia di lui. Preceduta da qualche notorietà (ne fu tratto perfino un film con Jean Rochefort), è invero assai deludente e a volte irritante. Prima di tutto si pensa che se l’autore si fosse sforzato un pochino avrebbe potuto trovare un titolo diverso da quello di Strindberg, non si possono offendere fino a questo punto i grandi spiriti. Poi, vedendo lo spettacolo di Piero Maccarinelli, si pensa dopo dieci minuti che la faccenda è già finita, quello che segue è puramente ripetitivo. Con una certa (relativa) abilità l’autore mette lo spettatore nel punto di vista del «padre», vale a dire di un malato di alzheimer. Difronte alle sue gaffe, alle sue pretese, ai suoi errori, ai suoi vuoti di memoria si può perfino sorridere – uno di quei tristi sorrisi di compassione. Ma, appunto, non oltre si va, oltre simili rassicurazioni emotive. Ci sono infine errori clamorosi (sempre dell’autore), quando per mostrare l’insensibilità del mondo borghese fa dare due schiaffetti al malato dal sano (il genero), gli fa dire: «Quando ti deciderai a levarti di mezzo?» Qui, Florian esagera, diventa volgare. Per fortuna in scena c’è Alessandro Haber (accanto a lui Lucrezia Lante della Rovere, David Sebasti, Daniela Scarlatti, Ilaria Geniatempo, Riccardo Floris): un Haber in gran forma, moderato nei tempi e nella gestualità, simpatico, attraente - che la compassione del testo tiene lontana da sé.