Corriere della Sera (Roma)

Beirut e l’arte: una mostra in cento opere

- di Edoardo Sassi

Cento opere, di 36 artisti diversi per stile e generazion­e, scelte con l’obiettivo di raccontare l’effervesce­nza creativa, ma anche la problemati­cità, di una capitale del mondo da anni al centro dello scenario contempora­neo: Beirut. Questo l’intento della mostra inaugurata ieri al Maxxi Home Beirut Sounding the

Neighbors. Una collettiva frutto di due anni di lavoro sul campo — condotto dai curatori Hou Hanru e Giulia Ferracci — e in grado di restituire, nel suo insieme, il dinamismo di una realtà tanto complessa quanto affascinan­te.

Quattro le sezioni in cui è suddivisa l’esposizion­e: Home for memory; Home for everyone?; Home for remapping e Home for joy. Minimo comun denominato­re, l’idea portante della mostra, che nella caleidosco­pica città libanese individua un luogo speciale dove è centrale il tema dell’appartenen­za: come rendere questa città, dove ogni singolo ha un diverso senso di identità, una

casa per tutti? La risposta nelle opere, ciascuna delle quali accompagna­ta da un testo-didascalia che ne spiega senso e significat­i. Opere nuove per una mostra in Europa — non tanto nei mezzi espressivi prediletti, che sono quelli dell’installazi­one, del video, della fotografia in primis, seguiti da disegno, pittura ecc — quanto nei contenuti. Tra gli interventi, tutti interessan­ti, la toccante immagine del danzatore Alexandre Pauliketvi­tch, che di fronte alla telecamera di Sirine Fattouh danza come una sorta di araba fenice fra le macerie di un villaggio distrutto nel video Entre les ruines, del 2014. Ha invece il piglio del reportage la serie fotografic­a scattata nel 2002 da Paola Yacoub durante l’occupazion­e siriana. Otto immagini racchiuse nel titolo Le Fleurs de

Damas: «Uomini e talvolta bambini — ha raccontato Stefan Tarnowski a proposito di questo lavoro dell’artista — trasportan­o fasci di rose rosse lungo le strade di Beirut, nel quartiere di Achrafieh. Nessuno parla con loro né acquista fiori. Malgrado ciò, ogni mat- tina ritornano sempre nello stesso luogo... In realtà tutti temono questi “fiorai” perché c’è il forte sospetto che siano membri dei servizi siriani».

Dietro ogni lavoro, una testimonia­nza o una storia da raccontare, non di rado sospesa sul crinale sottile tra il mondo privato dell’artista e una dimensione più pubblica e legata a tematiche generali. Al primo genere appartiene ad esempio il colorato intervento di Mazen Kerbaj, un diario annuale con ciascun giorno raccontato da un disegno, «un libro sullo scorrere del tempo»; al secondo appartiene invece l’opera di Mona Hatoum (Measures of Distance, 1988), tra i nomi più noti a livello internazio­nale, nel quale l’artista riflette sul proprio esilio a Londra durante la guerra civile libanese e sul suo rapporto con la madre.

 ??  ??
 ??  ??
 ??  ?? Tecnica mista Mounira Al Solh, Ghout of Najah, 2015, una delle cento opere in mostra al Maxxi
Tecnica mista Mounira Al Solh, Ghout of Najah, 2015, una delle cento opere in mostra al Maxxi
 ??  ??
 ??  ?? Momenti Destra: Akram Zaatari, Beirut exploded views, 2014 (video). Sopra: Haig Aivazian, Rome Is Not In Rome (Stadion), 2016. Sotto: Etel Adnan, Tapestry: Untitled, 2013
Momenti Destra: Akram Zaatari, Beirut exploded views, 2014 (video). Sopra: Haig Aivazian, Rome Is Not In Rome (Stadion), 2016. Sotto: Etel Adnan, Tapestry: Untitled, 2013

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy