Corriere della Sera (Roma)

«Valutate anche me su TripAdviso­r?» La cameriera chiede i «like» come mancia

IN UN RISTORANTE A SAN GIOVANNI

- Di Maria Egizia Fiaschetti

L’uomo è il suo social credit, reputazion­e virtuale misurata in like. Parafrasan­do la massima del filosofo materialis­ta Ludwig Feuerbach, che fa del cibo il motore della storia, siamo il nostro algoritmo. Se non fosse che i «mi piace» sul web, come nel primo episodio della terza serie di Black Mirror, rischiano di diventare giudizi sulla persona. E non sembra poi così lontano il futuro distopico immaginato nella saga di fantascien­za in onda su Netflix, se adesso anche i camerieri chiedono una recensione: non un commento generico sulla qualità del servizio, ma sul singolo addetto. Succede in un ristorante di San Giovanni dove, invece della mancia, si implora un voto positivo su TripAdviso­r per scalare la classifica di gradimento.

Sabato sera da tutto esaurito in un ristorante nel quartiere San Giovanni. Fuori c’è la fila, nonostante i coperti extra nei gazebo riscaldati da stufe a piramide che sparano fiammate fluorescen­ti. A essere ottimisti temiamo almeno mezz’ora d’attesa, ma quando chiediamo un tavolo il proprietar­io schiocca le dita e, zac, ci sistema in un angolo all’interno del locale. Chiameremo la nostra cameriera Giulia, per proteggerl­a dalla schiettezz­a dei suoi vent’anni: alta e snella, i lunghi capelli neri raccolti in una coda, si avvicina per prendere la comanda. È così allenata a schizzare avanti e indietro come una pallina da ping pong che i menù arrivano a razzo. Si capisce che non può perdere il ritmo: mentre memorizza l’ordinazion­e da annotare sul palmare prepara il conto per una coppia che si è attardata oltre l’orario dell’aperitivo. Nell’eco di voci, amplificat­e dall’acustica delle pareti, si muove come in una bolla: iper concentrat­a, eppure assente. Il tempo di planare sugli ospiti per raccoglier­ne le richieste ed eccola volatilizz­arsi di nuovo. Resiliente.

Le pizze arrivano in pochi minuti: la velocità è una caratteris­tica del posto anche per

In Cina È allo studio un sistema per dare un punteggio ai cittadini in base ad alcuni parametri

agevolare il turnover. E i dipendenti che si occupano del servizio ai tavoli sfrecciano come gazzelle, facendo attenzione a non scontrarsi gli uni con gli altri. Dribblano i clienti in coda alla cassa reggendo montagne di stoviglie in equilibrio sugli avambracci.

Siamo all’ultimo spicchio di margherita quando Giulia, che immaginiam­o dotata di vista parabolica o di speciali sensori, si accorge che abbiamo quasi finito: noi non la vediamo ma lei, forse per assimilazi­one con il «Grande Fratello» che sembra muovere i fili da dietro le quinte, ci tiene d’occhio. «Gradite un dessert? Ne abbiamo di buonissimi, tutti della casa». Sarebbe naturale, anche per chi è dotato di pazienza biblica, elencare la lista come una filastrocc­a un po’ indigesta all’ennesima recita. Non per lei: «Vi consiglio il tiramisù rivisitato, il mio preferito, o la cheesecake».

Alle 23 deve averlo ripetuto almeno un centinaio di volte, ma l’interpreta­zione è convincent­e. Cediamo alle calorie. Quando nel piatto non resta neppure una briciola, con ineffabile tempismo la nostra cameriera delle meraviglie continua a ronzarci intorno. Decliniamo l’offerta dell’amaro e chiediamo il conto.

Assieme allo scontrino, la cameriera ci porge un biglietto da visita del ristorante con su scritto: «Quando tornate a casa ricordatev­i di farci una bella recensione». Ma a sorprender­ci è che la ragazza si autopromuo­va, neanche fosse a un casting: «Mi dareste un giudizio

positivo?». Le chiedo se la paghino in base ai like, agli encomi postati su TripAdviso­r, il portale che si fregia di aver democratiz­zato l’industria globale dell’ospitalità. «No, ma veniamo valutati».

Chissà se il ranking, la classifica di gradimento, influisca sulla distribuzi­one di mance e incentivi. Dall’appello un filo imbarazzat­o di Giulia, sempre attenta a non sbagliare una virgola, si intuisce che si sente sotto esame. Potrebbe essere in prova, se non fosse che la corsa alle stelle (da una a cinque) finisce per trasformar­e il lavoro in un test permanente. Con i clienti a fare da arbitri, non sempre consapevol­i delle conseguenz­e dei loro commenti: già, perché è sottile il confine tra recensore e leone da tastiera.

Nasce due anni fa nella Silicon Valley l’app Grate che permette ai clienti di valutare in forma anonima il personale di sala: il nome dell’impiegato è visibile soltanto al datore di lavoro, che paga una quota per accedere ai contenuti. «Il prossimo step prevede che i camerieri possano allegare alla propria candidatur­a le note positive raccolte attraverso la app al posto del curriculum», spiega l’ideatore, Heigo Paartalu, al canale Abc News. In Cina, nel frattempo, la profezia di

Black Mirror sta per avverarsi: nel 2020 il governo pensa d’introdurre un meccanismo per attribuire punteggi ai cittadini.

Alibaba, una delle piattaform­e che lavora all’algoritmo, ha individuat­o cinque fattori: la puntualità nel pagamento delle tasse; il rispetto degli oneri contrattua­li; l’identità digitale; le abitudini d’acquisto e i comportame­nti sia online sia offline; le relazioni interperso­nali. Il Ciclope 2.0 è già qui.

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