Truffa di avvocati sui processi-fiume
Chiedevano risarcimenti sulla lunghezza dei procedimenti, ma i loro clienti non lo sapevano
Cinque avvocati dello studio Staniscia-Tralicci, inclusi i titolari, rischiano di finire a giudizio a Perugia per una truffa sui risarcimenti a loro clienti ignari.
Difesi a loro insaputa, tutelati oltre le loro richieste. Non è una riedizione dell’ormai abusata scusa per sollevarsi da colpe e accuse, ma un concreto capo di imputazione a carico di un’intero studio legale romano: falsificando le firme e inventando le procure dei loro assistiti, questi sì ignari, gli avvocati avrebbero ottenuto dal ministero della Giustizia risarcimenti da decine di migliaia di euro per l’eccessiva durata dei processi in cui i clienti erano imputati. Salvo che, i beneficiari degli indennizzi, in realtà, non ne sapevano niente.
La prossima settimana il caso conoscerà un primo passaggio dal giudice, il gip di Perugia, che deve decidere sulla richiesta di processo a carico degli avvocati Nicola Staniscia e Gina Tralicci e di tre collaboratori del loro studio. Ventuno le parti offese: oltre al ministero di via Arenula, venti clienti per i quali il procuratore Luigi De Ficchy e il pm Claudio Cicchella hanno ricostruito modalità di raggiro pressoché identiche. Le riassume così il capo d’imputazione per la più onerosa delle richieste: «Al fine di procurarsi il vantaggio di ottenere il pagamento della somma di euro 12.000 come risarcimento, oltre alle spese legali, e di commettere i reati di falso per induzione e di truffa, l’avvocato Staniscia formava una falsa procura a margine del ricorso presentato per conto del suo cliente, riportante in calce la falsa firma del suddetto, così da indurre in errore la corte d’Appello di Perugia (i giudici del capoluogo umbro sono investiti della competente per le vicende giudiziarie che esaminano il lavoro dei loro colleghi romani, ndr)». Ma gli atti illeciti dello studio legale, ai cui esponenti vengono contestati i reati di truffa e falso per induzione, vanno oltre. Perché intentata la falsa richiesta di risarcimento, l’opera sarebbe proseguita «sull’esistenza di validi mandati difensivi rilasciati dal cliente» e sulla loro falsa costituzione in giudizio. Per tutti gli imputati c’è l’aggravante di aver commesso i reati nell’esercizio dello funzioni di avvocato, «con abuso di prestazione d’opera legale, mediante artifizi e raggiri».
La procura perugina ha tra le prove la consulenza grafologica sulla firma dei clienti e le loro unanimi testimonianze: nessuno dei beneficiari dei risarcimenti era a conoscenza di averne mai fatto richiesta con la formula riprodotta in ognuna delle false procure. Così recitava: munendo l’avvocato di «ogni potere di legge» compresa la facoltà «di conciliare, desistere, transigere, riscuotere somme, rilasciare quietanze e ritirare titoli». Il sospetto, non esplicitato dalle accuse, è che i legali puntassero a intascare le somme senza avviare i clienti. E, in ognuno dei venti casi contestati tra il 2009 e il 2014, ci sono andati a un passo: 6 mila euro qui, 7.500 là, 10 mila un’altra volta (oltre alle spese legali) «non riuscendoci per cause indipendenti dalla loro volontà».
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