Le memorie di un ambasciatore nell’inferno di Regina Coeli «Un carcere tra i più disumani»
Perché non c’è un magistrato di sorveglianza anche per i detenuti in attesa di giudizio? Perché a Regina Coeli non c’è una celletta per l’educazione fisica? Sono gli interrogativi minimi che a un quarto di secolo dalla sua detenzione nella prigione romana della Lungara un diplomatico di rango, di area socialista, fa riemergere inquietanti da un testo scritto allora e lasciato in un cassetto, pubblicato oggi da Editori Riuniti in una situazione penitenziaria non tanto diversa. Con «Un ambasciatore a Regina Coeli» Claudio Moreno ripercorre la dolorosa esperienza che prese il via nel 1993 con l’arresto per concussione nel campo della cooperazione internazionale allo sviluppo. Accusa destinata a cadere, ma solo dopo 13 anni. Per Moreno, che al momento dell’arresto guidava l’ambasciata di Buenos Aires, la riabilitazione ha comportato incarichi di prestigio, però non ha mai dimenticato quei sei mesi in cella « in cui – ricorda nell’introduzione la radicale Rita Bernardini – il detenuto continua a essere scaraventato in un inferno». Fin dalle prime pagine è questa la sensazione del diplomatico cacciato nell’isolamento del carcere, «rappresentazione plastica – scrive - della violenza carceraria come metodo di dissuasione». Non aspettatevi però una dura requisitoria, la discesa agli inferi avviene con grande capacità di misurarsi con un posto in cui tra il vomito di chi è in crisi di astinenza e la disperazione regnano anche sentimenti di solidarietà, come gli spaghetti fumanti che un detenuto offre allo spaesato Moreno. Si entra nel buio regno popolato di letti «a canestro» che spezzano le schiene, acqua eternamente gelida, nonnismo e coatteria, regole oscure con in cima a tutto la «domandina» per chiedere anche le cose più semplici, il bagno-cucina dai confini incerti, la «conta» 5 volte al giorno, gli autolesionismi, la rete anti suicidi, l’aids, le perquisizioni e le cariche in caso di tafferugli.
Non ci vuole molto perché Moreno, taccuino in mano, diventi il saad saphyr degli arabi o el señor embajador dei sudamericani. Ricorda il diplomatico: «Dove sedevo si creavano gruppi che con aria distratta mi facevano domande di vario genere...». Poi tutti in cella e a sera le gocce, sonniferi «a cui la maggioranza dei detenuti non rinuncia». Che fare? «Regina Coeli è nel ristretto gruppo di penitenziari forse tra i più disumani e incivili d’Italia».