Favino: «Vi racconto com’era la mia città di notte tra risse e prostitute»
Ambra Jovinelli L’attore si racconta alla vigilia del debutto, da giovedì, nel testo di Bernard-Marie Koltès. Poi il festival di Sanremo e il film di Muccino
Camminare di notte da solo, come il personaggio del testo di Koltès che interpreterà, da giovedì, all’Ambra Jovinelli. Pierfrancesco Favino l’ha mai fatto? «In passato spesso. Lavoravo nei locali, vivevo la notte e alle 4 del mattino mi ritrovavo in dinamiche che non conoscevo: risse, violenza, giovani prostitute...».
Monologo Ci sono io e gli spettatori in sala, ed è davvero un mettersi a nudo nei confronti del pubblico Sogno nel cassetto Forse non ho più l’età ma Amleto, anche come regista, è un progetto che covo da tempo
«Èbuio. Uno straniero incontra un uomo per strada. Gli chiede una camera per trascorrere una notte. Inizia a parlare. Pensiamo che parli di sé, invece parla di tutti noi». Pierfrancesco Favino sintetizza così la trama-non-trama di Notte poco prima delle foreste di Bernard-Marie Koltès, di cui è protagonista da giovedì 11 gennaio all’Ambra Jovinelli, con la regia di Lorenzo Gioielli. «Sono innamorato di questo testo - continua l’attore -, perché Koltès sceglie di non dare risposte e le sue parole creano immagini, emozioni... direi che è più vicino alla musica. Racconta una storia che riguarda tutti, il bisogno estremo degli altri, dello stare insieme e, al tempo stesso, l’insofferenza dello stare insieme». Favino è solo in scena, un monologo che, ammette, sente suo. Autoanalisi? «Assolutamente no: io, per fortuna, non sono tormentato dal male di vivere. L’analisi ha come scopo quello di curarti, mentre il disagio psicologico del personaggio che interpreto è primario. Ciò non toglie aggiunge - che pur non essendo “malato” riesco a entrare nei pensieri di questo uomo e a farli miei. Il monologo, poi, è un mettersi veramente a nudo nei confronti del pubblico: ci sono io e gli spettatori in sala». Faticoso? «In un certo senso sì, perché il confronto è diretto e ci sono attori che non vedono l’ora di stare da soli in scena, ma non è la mia ambizione. Il mio desiderio è che le persone non vedano me, ma l’individuo che rappresento. Per me lui è un uomo vincente, ha il coraggio di sputare fuori i suoi bisogni con impudicizia, mentre io non avrei lo stesso coraggio. La rappresentazione è una sorta di tac delle emozioni».
Camminare di notte da solo per strada: Favino l’ha mai fatto? «In passato, molto spesso. Lavoravo nei locali, vivevo di notte, vivevo la notte e magari, alle 4 del mattino, mi ritrovavo in dinamiche che non co- noscevo: risse, violenza, venditori ambulanti di sigarette, giovani prostitute... brandelli di esistenza. C’è stato un periodo in cui ero diventato amico di un clochard, facevamo lunghe chiacchierate».
Teatro, ma anche televisione, dove oltre ad aver interpretato numerose fiction, presto affiancherà Claudio Baglioni al prossimo Festival di Sanremo, e tanto cinema. Favino sta per uscire nelle sale, dal 14 febbraio, con A casa
tutti bene, il nuovo film di Gabriele Muccino: «Un affresco familiare, totalmente ambientato su di un’isola irreale, anche se abbiamo girato il film a Ischia: io sono Carlo, il figlio». Una famiglia problematica? Ride: «Mi chiedo se esista una famiglia senza problemi!». Ma tra i vari linguaggi, palcoscenico, piccolo e grande schermo, qual è quello in cui si sente maggiormente a suo agio? «Il mio habitat naturale è il palcoscenico, perché non c’è mediazione, il teatro è rivoluzionario perché è irripetibile, un rituale collettivo insostituibile che a ogni replica cambia. Inoltre sono assolutamente d’accordo con chi afferma che il teatro è più dell’attore, il cinema è più del regista. In qualunque linguaggio, comunque, la mia priorità è un’onestà comunicativa: metto sempre al primo posto chi mi guarda, prima di me stesso».
E nel grande repertorio, c’è un autore, un personaggio... «Bè, come non aspirare a Shakespeare! Forse non ho più l’età ma Amleto, da mettere in scena pure come regista, è un progetto che covo da tempo».