Se il contratto sarà prorogato a rischio fondi per 40 milioni
A due settimane dalla scadenza il piano industriale non è pronto
Mancano due settimane al D-Day che deciderà il destino di Atac. Il 26 gennaio la municipalizzata deve presentare in tribunale il piano industriale, ovvero la strategia di rientro dal debito e di ristrutturazione aziendale, dalla quale dipende l’esito del concordato. Piano che, nelle parole dell’assessora ai Trasporti Linda Meleo, «è ancora work in progress». Già nei mesi scorsi dagli uffici di via Prenestina filtravano rumors sulle difficoltà incontrate dai dipendenti e dall’advisor economico nella stesura del documento. Difficoltà che non sembrano del tutto superate.
A sentire gli insider, «il lavoro sarebbe incompiuto»: mancherebbero, in particolare, «gli adempimenti formali sul piano dei creditori e la valutazione dei beni». Scattato il conto alla rovescia, il Campidoglio punta tutto sul rinnovo dell’affidamento in house. Nei calcoli della giunta posticipare il contratto di servizio al 2021, due anni oltre la scadenza naturale, darebbe al concordato l’ossigeno necessario per non implodere su se stesso, col rischio che il trasporto pubblico si paralizzi. Se non fosse che, al netto delle deroghe concesse dalla normativa europea in casi «di emergenza», chi segue dall’interno l’evolversi della situazione non nasconde una punta di scetticismo: «Agganciare la proroga alla crisi aziendale può rivelarsi un boomerang. L’affidamento diretto sta in piedi solo se è più conveniente per l’amministrazione». Ma a pesare sulla scelta della proroga potrebbe essere anche un altro aspetto: «La manovrina di giugno (la legge 96/2017) stabilisce che le risorse del Fondo nazionale trasporti vadano alle società che si sono aggiudicate l’appalto con una gara trasparente». In caso contrario, scatta una decurtazione del 15%. A conti fatti, dei 280 milioni erogati a Roma attraverso la Regione, ne sfumerebbero poco più di 40 milioni. Una perdita che, in tempi di scarsa liquidità, non può certo definirsi irrilevante.
In ballo c’è poi la questione del referendum per la messa a gara del servizio, con i Radicali sulle barricate: da ieri è scattato il presidio permanente in piazza del Campidoglio per sollecitare la sindaca a indire il referendum consultivo (i termini scadono il 31 gennaio) in concomitanza con l’election day il prossimo 4 marzo. «Abbiamo diffidato i consiglieri capitolini dal votare la proroga dell’in house — spiega il segretario dei Radicali romani, Alessandro Capriccioli — . Hai voglia a dire che il prezzo per chilometro è più vantaggioso, con i bus in fiamme e tempi di attesa biblici: non si può fissare un benchmark se il servizio è inaffidabile». Oltre alle azioni di protesta, i promotori della campagna referendaria hanno già segnalato il caso all’Antitrust e alla Corte dei Conti.