Ritratto di donna (in vestaglia) nell’inferno della memoria
Al Quarticciolo «Ma perché non dici mai niente?» di Lucia Calamaro
«Mary, la protagonista del dramma, è una donna sola, la cui mente cade a pezzi, il cui marito partì non si sa né quando né per quale motivo. Rimasta sola, lei aspetta che torni. La sua mente è piena di voci, sprazzi del suo passato, confusi con soldati in punto di morte. Vuoto, sparizioni e qualche illuminazione abitano i suoi ultimi giorni»: così viene presentata la protagonista femminile di Ma perché non dici mai niente? Monologo, di Lucia Calamaro, stasera e domani alle 21 al Teatro Quarticciolo (via Ostuni 8, info: 06.98951725) dopo l’anteprima nazionale al Festival di Castrovillari. Ad andare in scena la versione di Nerval Teatro, con Elisa Pol e la regia di Maurizio Lupinelli, attenti fin dagli esordi, nel 2007, ai diversi aspetti del disagio (fra le messe in scena più note, nel 2011 Psicosi delle 4 e 48 di Sarah Kane).
Una donna sola in scena. Accanto a lei un arredamento scarno, un tavolo, poco altro. E un flusso di coscienza da far pensare alla necessità di un neurologo, salvo la capacità della scrittura della Calamaro, fra le migliori autrici teatrali di questi anni, di aprire scenari molteplici con il suo stile incisivo, toccante, ironico. Così è facile ritrovarsi, in quel racconto ora lucido, ora privo di senso. Prosegue la descrizione: «Difficile giudicare la donna, ma proviamo per lei una simpatia spontanea, innata, come per tutti gli avulsi della letteratura e della società, che nella fuga dalla ragione e dalla vita hanno saputo offrirci atti cristallini d’amore per l’esistenza».
«La vita non me la sono mai immaginata così, ferma nel niente: un eterno presente senza movimento» sussurra la protagonista (La vita ferma è un altro lavoro della Calamaro). E poi: «Le cose non successe ti guardano con gli occhiacci della perdita...non è facile prendere una decisione, quando il mondo esterno è un brulicare ostile di brutte macchie opache». È questa la prima volta in cui Lucia Calamaro non cura l’allestimento di una propria scrittura drammaturgica.