Asilo-lager fuorilegge: fratelli condannati
Pene di cinque anni. I bimbi erano chiamati «mongoloidi» e costretti a simulare atti sessuali
Ogni giorno doveva dire di chiamarsi «mongoloide» ai suoi educatori, quando gli chiedevano il nome. Altri bambini invece venivano lanciati in aria dai loro tutori che si divertivano a vederli atterrare sul materassino dove dormiva il cane.
Questi sono alcuni dei supplizi fatti vivere ai 16 ragazzini dai fratelli Silvia ed Eligio Scalas,30 e 40 anni, educatori sociali, ieri condannati a 5 anni di reclusione con l’accusa di percosse e maltrattamenti. Sentenza pronunciata al termine del rito abbreviato, durante il quale la pm Claudia Alberti aveva chiesto sei anni di reclusione. All’esterno dell’aula erano radunati i genitori, che hanno commentato la decisione del gup senza lasciarsi andare a scene di giubilo ma nemmeno di rabbia. Solo qualcuno ha protestato sommessamente ritenendo che la pena fosse bassa.
A fine ottobre dello scorso anno la Procura aveva respinto la proposta di patteggiamento avanzata dai legali degli imputati. «Una scelta corretta», commentano i difensori delle parti civili, gli avvocati Maria Cristina Calamani e Vincenzo Scolastico. Quanto all’asilo, situato in via Erasmo Gattamelata, nel corso delle indagini è risultato essere abusivo.
Le umiliazioni, confermate da filmati e intercettazioni, sono avvenute tra l’ottobre del 2016 e la primavera del 2017, quando la Procura ha ottenuto il fermo dei due fratelli. La cronaca di quelle giornate appare un inferno per le piccole vittime. Le ore di gioco e di svago all’asilo erano per i bambini angherie continue. Tutte le volte venivano umiliati con offese come «deficienti», «mongoloidi», «handicappati», «brutti». Per esempio un bambino disabile appena entrava in aula aveva l’obbligo di recarsi dai due educatori che ogni mattino gli chiedevano quale fosse il suo nome. E lui era tenuto a dare una sola risposta: «Mongoloide». Una scena avvilente, accolta però dalle risate dei fratelli Scalas. Una bambina si era immalinconita a sentirsi tutti giorni apostrofata con i termini «brutta» e «handicappata». Così, piangendo, aveva chiesto alla mamma se davvero la sua immagine fosse quella di una bambina «non bella».
La donna si lasciava andare a questi atteggiamenti nonostante fosse presente la figlia di 12 anni. La ragazzina – come ricostruito dagli inquirenti – aveva sempre reagito ai comportamenti della madre biasimandola. L’unica reazione delle Scalas era stata di rimproverarla fino a minacciarla che l’avrebbe fatta «finire in galera» se avesse riferito a qualcuno cosa accadeva all’interno dell’asilo.
Le offese venivano alternate dagli imputati con schiaffi mollati ai piccoli, quando si mostravano nervosi. Talvolta i bimbi erano anche costretti a usare espressioni xenofobe. Altre volte simulavano atti sessuali. L’unico momento divertente per i piccoli era l’ingresso del cane nella sala: con lui giocavano liberamente.
Vessazioni Accusati di percosse e maltrattamenti nei confronti di 16 piccoli loro affidati
Minacce Silvia Scalas minacciò la figlia 12enne di farla arrestare se avesse riferito cosa l’accaduto