Gabriele Lavia, padre fragile sul palcoscenico
Protagonista e regista del testo di Strindberg in scena al Quirino «L’ipotesi che la moglie abbia avuto il figlio da un altro diventa un abisso in cui precipitano tutti»
La tecnica si è imposta, tutto ciò che è possibile accade. E chissà, un giorno, anche un maschio potrà partorire con un utero trapiantato. Per fortuna io non farò in tempo a vederlo
Un uomo e la sua paternità offuscata da un atroce dubbio. È ciò che accade al capitano di cavalleria Adolf, ed è proprio la moglie Laura a instillare nel suo animo il sospetto che non sia il padre della figlia Berta. «Il
padre di August Strindberg, in fondo, ha una trama banale», osserva Gabriele Lavia che ne è protagonista e regista al Teatro Quirino da martedì, con Federica Di Martino nel ruolo della consorte. «Tanto banale, apparentemente, quanto profondamente tragica. Una storia di tradimento coniugale, l’ipotesi che la moglie abbia avuto sua figlia da un altro, un intreccio che si può ritrovare in tanto altro teatro, eppure nelle mani del grande autore svedese diventa un abisso in cui precipitano tutti i personaggi: è la perdita di ogni certezza». Lo spettacolo è prodotto dalla Fondazione Teatro della Toscana.
«Laura è una donna che castra - ragiona Di Martino - Si potrebbe definire una cattiva a tutto tondo, una schiacciatrice del maschio, ma la mia difficoltà è fare di lei anche una vittima degli eventi». L’intrigo scaturisce dall’incomprensione tra i due coniugi: lui, il Capitano, è un tipo intransigente che mal sopporta le ingerenze della moglie nell’educazione di Berta, figlia poco più che adolescente cui è molto affezionato. «Laura, pur vivendo in una società patriarcale, non cede continua l’attrice - non subisce le imposizioni del marito, reagisce duramente e arriva al punto di azzerarlo come padre, come uomo. Nella lotta tra i sessi, è lei la vincitrice: prevale il matriarcato. In ciò risiede l’attualità del testo».
Una torbida vicenda familiare, dove sembrano emergere le morbosità di certe trame del futuro Luigi Pirandello. «È vero - conferma Lavia - Nel
Padre c’è una battuta che Pirandello riprese, para para, mettendola in una sua novella. Non c’è dubbio, il drammaturgo siciliano conosceva molto bene le opere di Strindberg, evidentemente lo sentiva molto vicino nelle tematiche trattate. A cominciare dal mistero della paternità: a quell’epoca non esisteva la possibilità di analizzare il dna, dunque non si poteva sapere con assoluta certezza l’origine di un figlio. Nel testo dell’autore svedese esistono battute esplicite su questo problema: la paternità è solo contrattuale, e per questo il matrimonio si fonda sulla fedeltà “legale” della moglie. La certezza è solo legale, ma l’incertezza resta, ed è profonda. Il problema diventa filosofico, entra nel tunnel dell’incertezza dell’”essere”. E il Capitano sprofonda nella follia».
A quell’epoca non si poteva analizzare il dna. Oggi sì però, con le varie pratiche di fecondazione assistita, sono sorte nel mondo associazioni dei «figli della provetta» che reclamano il diritto a conoscere le loro vere origini. «A me sembra francamente un eccesso - commenta Lavia - Non vedo tutta questa necessità di ricorrere ossessivamente a tali pratiche: ci sono tanti bambini orfani sparsi nel mondo, perché non facilitare le adozioni? La tecnica ha preso il sopravvento, tutto ciò che è tecnicamente possibile accade. E chissà, forse un giorno, anche un maschio potrà partorire con un utero trapiantato. Per fortuna io non farò in tempo a vederlo».