«Io, Falcone e l’amore per questa città»
Giuseppe Ayala, ex pm del pool: «Ci trasferimmo qui nel ‘91. Quella cena con Giovanni»
«La mattina mi sveglio e, ancor prima del caffè, mi affaccio alla finestra e saluto Gianlorenzo Bernini. Guardo la Fontana dei Quattro fiumi, sento che sale il buon umore e sorrido a Roma». Giuseppe Ayala, 72 anni, nisseno, magistrato del pool antimafia con Falcone e Borsellino, pm al maxiprocesso di Palermo del 1986, deputato prima e senatore poi dal 1992 al 2006, motociclista da sempre, racconta la sua passione per la città in cui vive dal ‘91.
«L a mattina mi sveglio e, ancor prima del caffè, mi affaccio alla finestra e saluto Gianlorenzo Bernini. Guardo la Fontana dei Quattro fiumi, sento che sale il buon umore e sorrido a Roma».
Vivere a piazza Navona è un privilegio, un’emozione o una seccatura?
«La prima che ha detto. E quando per dieci anni sono stato senatore, il privilegio era al top: scendevo di casa e avevo il luogo di lavoro lì, a cento metri, a dir tanto. Ma questa zona mi è sempre piaciuta, anche perché ci viveva mio padre».
Che faceva suo padre?
«Assolutamente nulla. Aveva ereditato una miniera di zolfo in Sicilia, e anche quando poi venne chiusa, papà poteva permettersi di non fare niente. Sono stato probabilmente il primo della famiglia a lavorare».
Giuseppe Ayala, 72 anni, da Caltanissetta, magistrato del pool antimafia con Paolo Borsellino e Giovanni Falcone, pubblico ministero al maxiprocesso di Palermo del 1986, deputato prima e senatore poi dal 1992 al 2006, motociclista da sempre, è un signore d’altri tempi. Bello, alto, magro, gentile, grande raccontatore della storia di questo ultimo secolo e grande amante della vita e delle sue bellezze.
Quali sono secondo lei le peculiarità di Roma?
«Due fondamentali: una è che è la città più bella del mondo, l’unica dove passeggi e ti passano accanto 2000 anni di storia senza soluzione di continuità. La seconda è che però la città è ferma. Se vai a Londra, a Parigi, a Berlino trovi sempre grandi novità. A Roma, a parte l’Auditorium che comunque ha 15 anni, la cosa più recente è l’Eur. Diciamo che la staticità è impressionante. Cosa potrebbe essere questa città se insieme a quella caratteristica unica della continuità storica plurimillenaria ci fosse anche una proiezione nel presente e nel futuro».
Perché Roma è ferma?
«Per un cumulo di circostanze che riguardano sia le amministrazioni che gli elettori. Ma creare una frattura tra la cosiddetta società civile e la classe politica a me non ha mai convinto. Ad esempio
prenda la polemica dei candidati “impresentabili” che poi però vengono eletti: è colpa di chi li presenta o di chi li va a votare?».
Da magistrato con tanta esperienza di mafia, che idea s’è fatto sull’inchiesta Mafia Capitale?
«Leonardo Sciascia nel Giorno della civetta, fa la metafora della linea della palma. Più il clima è caldo, più la palma riesce a crescere in altri luoghi rispetto al suo contesto naturale. Se pensa che tante amministrazioni in Lombardia, in Piemonte, in Liguria sono state sciolte per mafia, si capisce che la linea della palma si sposta sempre più a nord. Ora, senza entrare nel merito del processo di Mafia Capitale, direi che sono d’accordo con la Procura della Repubblica di Roma nel senso che quando si parla di mafia non si fa riferimento a Cosa Nostra o alla ’Ndrangheta ma al modello criminale».
Un luogo di Roma che le trasmette senso di pace?
«Il Gianicolo. Sono motociclista: Suzuki, Yamaha e ho sempre viaggiato in moto. Nel
2002, dopo 20 anni di vita blindata con la scorta, la prima cosa che ho fatto è stato ricomprarmi la moto e correre su al Gianicolo. Facevo la salita, guardavo Roma e mi sentivo felice, immerso nella libertà».
Si è mai innamorato a Roma?
«Rispondo con un sorriso»
Riformulo la domanda: è
una città che stimola le passioni?
«Sì, assolutamente. Non le reprime e, anzi, le libera».
Un cappuccino dove?
«A piazza Farnese c’è un angolo magico dove c’è sempre il sole».
Ha mai frequentato i salotti romani?
«Confesso che per un periodo, quando venni eletto in Parlamento, ne ho frequentato
uno. Ma non era cosa per me. Così mi sono inventato lo slogan Chi mi vuol bene non mi invita e sono riuscito ad uscirne».
Chi sono i suoi amici romani?
«Uno dei migliori era un palermitano, Pietro Calabrese, direttore di Messaggero e Panorama, amici dai tempi della spiaggia di Mondello, anni di ragazzate indimenticabili».
Poi c’era Giovanni Falcone…
«Tutti e due nel 1991 lasciammo Palermo per Roma, lui al ministero io alla Commissione Antimafia prima e deputato nei repubblicani poi. Andavamo sempre a cena da Nino a via Borgognona o alla Carbonara a Campo de’ Fiori. Proprio lì eravamo pochi giorni prima dell’attentato che ha ucciso lui, sua moglie e la scorta. Amavo quel posto proprio per la vita vissuta con Giovanni, e non sono più riuscito a tornarci. Ma dopo oltre dieci anni, spinto anche da mia moglie Natalia, mi sono forzato. La signora, la proprietaria, e un paio di camerieri, come mi hanno visto, mi sono venuti incontro e mi hanno abbracciato con affetto come se mancassi da pochi giorni. Avevano capito il mio imbarazzo e il mio dolore. È bastato un loro sorriso per farmi sentire più tranquillo. E questo accade solo a Roma».
Nella mia famiglia credo di essere il primo ad aver lavorato
I miei luoghi del cuore? Sono un motociclista e adoro il Gianicolo