Veronica Cruciani, Bottega del caffè in stile Fassbinder
Al Vascello «La bottega del caffè», riscrittura del testo di Goldoni con la regia di Veronica Cruciani
«Quella di Goldoni è una commedia. Quello di Rainer Werner Fassbinder, un testo molto crudo». Veronica Cruciani firma adattamento e regia della «Bottega del caffè» («Das Kaffeehaus») del regista e drammaturgo tedesco dall’autore veneziano: lo spettacolo, prodotto dallo Stabile del Friuli Venezia Giulia, va in scena al Teatro Vascello da stasera al 28 gennaio. «La mia è un’elaborazione dell’opera di Fassbinder, che nasce dall’elaborazione dell’opera goldoniana. La trama resta quella originale, identica, ma ne viene fuori un lavoro autonomo, originale. In Goldoni era già molto presente la critica che veniva fatta alla società del suo tempo: dietro la finta cortesia delle buone maniere è nascosta tanta aggressività, una Venezia inquietante, in cui i soldi impongono le loro regole. In Fassbinder il gioco diventa estremo, cinico, amaro: un totale smascheramento della più bieca falsità».
Scritta alla metà del ‘700, appartiene al nucleo delle sedici commedie di Goldoni per la stagione del Teatro Sansituazione». t’Angelo. Il caffè, gestito da Ridolfo, è frequentato da un’accolita di personaggi che snocciolano la loro esistenza tra maldicenze, equivoci e piccoli intrighi. A cominciare a Don Marzio: «Nella mia rivisitazione, ne faccio uno slavo: un immigrato, un poveraccio che, con la sua diversità, diventa il capro espiatorio della La scena, ambientata sempre a Venezia, si apre su di una scena di festa, di apparente leggerezza: «Musiche barocche, costumi sfarzosi, maschere... ma la scenografia evoca subito un’atmosfera allucinata, esagerata - continua la regista - E man mano che si procede nell’azione scenica, il gioco si fa più violento, le musiche da barocche diventano elettroniche, cupe, dissonanti, martellanti, i personaggi cominciano a strapparsi gli abiti di dosso, restando sempre più nudi, finché nel terzo atto lo spazio scenico si svuota anche degli oggetti, trasformandosi in uno spazio astratto, mentale, psicologico... Tutto sparisce dietro una nebbia e le battute degli attori sembrano provenire dal regno dei morti».
«Das Kaffeehaus» è stata scritta nel 1969 e venne messa in scena per la prima volta a Brema. «Il tema fondamentale dell’opera è la gestione malata e crudele del potere: i rapporti interpersonali sono corrotti dal denaro, dallo sfruttamento, dalla dipendenza, tutto si fa per calcolo. L’amore stesso si vende e si compra, non c’è salvezza in Fassbinder, il suo è un duro attacco al sistema di una società classista che non ha rispetto dei più elementari sentimenti. In questo, a mio avviso, risiede la innegabile, forte attualità del testo». Un tema che da Cruciani viene ulteriormente estremizzato, reso più aggressivo, se possibile, del precedente: «In Fassbinder, per esempio, l’omosessualità tra il personaggio di Trappola e di Eugenio è solo accennata: nel mio spettacolo diventa esplicita, si tramuta nell’ossessione amorosa tra due uomini. Un’umanità violenta».