Arturo Brachetti, trasformismi in versione hi-tech
Teatro Sistina Il celebre illusionista da domani in scena con «Solo-The master of quick change», tra cambi di costume ed effetti speciali
«A 60 anni mi sono detto, adesso o mai più!»: così Arturo Brachetti il trasformista, l’uomo dai cento volti e altrettante vite, porta in scena al Sistina il suo «best of», da domani con il titolo Solo-The master
of quick change. Ai frenetici cambi d’abito che da sempre caratterizzano i suoi show s’aggiungono laser, effetti speciali, «sand art», la manipolazione della sabbia.
«La trama si svolge intorno a una casa di bambole le cui stanze vengono amplificate dal videomapping — racconta l’attore e regista —. Il vano della musica con Pavarotti, Édith Piaf, Céline Dion; quello delle serie tv con zio Fester, Batman, Wonder Woman. Un vecchio seduto sulla tazza del bagno. Le stanze dell’amore, dei ricordi e della paura. Venticinque trasformismi in cinque minuti, una tecnica inventata negli anni 30 che ho riesumato oltre quarant’anni fa e si presta a raccontare mondi diversi. Sono un Peter Pan cui piace fantasticare, ma accetta di essere in parte razionale: mentre il bambino vola, la sua ombra pensa a tutto, scarpe, costumi, tele, manifesti. L’io regista».
Un Fregoli nell’era tecnologica, «sicuramente m’influenza la grammatica di Youtube — riflette Brachetti — alla quale i giovani sono abituati, e quindi non hanno difficoltà a seguire i ritmi rapidi dello spettacolo. Resto esterrefatto a vederli fissi sul cellulare. Internet non sempre è un bravo maestro. Io divoravo libri e fotografie. Loro spesso arrivano da me con proposte che ritengono originali ma scopiazzate sul web, zeppo di tutorial creati da diciottenni, e la mia risposta è “Ma questo numero si faceva cinquant’anni fa!” Bisogna studiare».
Come si diventa Mr. Brachetti? «A 26 anni mi sono lanciato davanti a una platea, e ho fatto la gavetta ascoltando gli umori del pubblico. Oggi ci sono ottime scuole di illusionismo e di teatro circo, atelier di teatro fisico, a Torino un circolo di illusionisti molto attivo. Per le nuove leve gli spettatori sono la telecamera, ma non è così. Un artista come Dynamo che ha camminato sul Tamigi vive dei media, ma è davanti al pubblico che ha rivelato se stesso». Eredi invece? «Non ci sono, ma chiunque sia dotato di originalità, come Luca Bono e Xavier Mortimer».
Prosegue: «Da piccolo ero molto timido. Travestirmi mi ha aiutato a cercare la mia identità, può sembrare un paradosso. Allievo di seminario a Torino, mi appropriavo dei trucchi di Don Silvio Martelli, con la vocazione per la magia. In breve sono diventato il suo assistente. Mi regalò un libro su Fregoli. È stato una specie di psicodramma. Come aver portato in scena la propria sfiga. A pensarci bene anche Marilyn era cicciotella e con i capelli rossi e trasformandosi è diventata il mito. Noi che ci siamo costruiti con il sudore duriamo più dei talenti naturali».
I segreti di un sessantenne eterno ragazzo: «Mangio poco, ma cinque volte al giorno. E ogni notte faccio ginnastica guardandomi allo specchio». Un occhio al sogno, l’altro alla realtà: «Noi italiani siamo trasformisti nel Dna, accomodanti, pronti a risolvere i problemi da soli in mancanza di Giove travestito da pastore. Il nostro è un Paese immobile, a partire dai semafori. “Siediti lungo la riva del fiume e aspetta. Prima o poi passerà il cadavere del tuo nemico” recita il proverbio. Speriamo che intanto il corso d’acqua non esondi. E chi può cerca lavoro all’estero».