La Capitale ridotta a una tela sporca
Muri imbrattati, scritte selvagge, e il servizio comunale di cancellazione in crisi dal 2015
Roma è fatta così, lo abbiamo scritto in centinaia di occasioni: quando c’è un’emergenza riesce a muoversi, soprattutto quando ci sono in ballo interessi molto importanti. Ma è incapace strutturalmente di adottare una politica amministrativa di manutenzione ordinaria. Prendiamo il caso della scritta anti-Erdogan apparsa a Porta Maggiore sabato scorso. Domenica - roba da non credere era già sparita. Cancellata a tempo di record. Naturalmente non è un caso ma una scelta.
Ridicolo giocare ad Alice nel Paese delle Meraviglie: la visita del presidente turco ha un’importanza eccezionale, ci sono in ballo il nodo dell’immigrazione e gli equilibri in Medio Oriente. Quindi meglio non offendere l’illustre ospite e cancellare tutto.
Benissimo, l’ospitalità è sacra e le ragioni diplomatiche hanno il loro peso. Ma c’è da chiedersi, ragionevolmente, perché non accada lo stesso con le migliaia e migliaia di scritte che devastano mura storiche o semplici pareti di palazzi pubblici e privati. Perché è possibile far sparire subito una scritta politicamente «scomoda» e mai, invece, ciò che deturpa le nostre strade e piazze?
Gli ultimi tre sindaci hanno promesso misure straordinarie anti-vandali: le dichiarazioni di Gianni Alemanno, Ignazio Marino e Virginia Raggi possono essere tranquillamente sovrapponibili o intercambiabili, tutti hanno assicurato una politica di manutenzione ordinaria e di rispetto per quel «decoro» che solo superficialmente può sembrare un’espressione perbenista o piccolo borghese.
Quel «decoro», un esempio tra i tanti, completamente scomparso da anni e anni in via della Renella, nel cuore di Trastevere. Sono i soliti segni comprensibili solo a chi usa lo stesso mezzo per devastare, la bomboletta.
Esibizionismo
Naturalmente il vandalo romano (per favore non chiamateli writer, significherebbe attribuire a chi non la merita una patente artistica) predilige i luoghi storici: un po’ per cancellare le tracce del Bello e un po’ per esibizionismo, i monumenti attirano più sguardi. E così ecco gli spray bianco-rossi in via del Teatro Marcello, proprio sotto il Campidoglio, sia sulla serranda di un locale chiuso che più giù, sul cinquecentesco muro del monastero delle Oblate di Santa Francesca Romana. Naturalmente il massacratore di muri cerca le superfici più pulite, o reduci da un recente restauro: altrimenti che senso avrebbe sfregiare? E così nessuno cancella gli sgorbi blu e bianchi che da chissà quanti mesi abbrutiscono via dei Delfini, accanto a uno stipite in marmo che non incornicia più una finestra ma è rimasto lì come segno architettonico.
In via dei Polacchi, qualche incivile purtroppo innamorato ha scritto in rosso «auguri Rampolla» massacrando un
intero muro appena ripulito. Se «Rampolla» è il vezzeggiativo di qualche ragazza del centro storico, suggeriamo di chiudere ogni rapporto col titolare della bomboletta: da chi devasta, non verrà niente di buono. Qualche passo ancora, e siamo in via delle Botteghe Oscure: la mano dev’essere sempre la stessa, vista la limitatezza della fantasia grafica che svela solo e soltanto il gusto di rovinare per rovinare. Siamo una città ricca di eccellente street art ma sono insegnamenti estetici che cadono nel vuoto. La svastica Un altro angolo di Roma deturpato dalle scritte insensate è via Magnanapoli, la scalinata che collega il Foro Traiano a via IV Novembre. In altre città, visto lo sfondo unico al mondo della Colonna di Traiano, verrebbe mantenuta perfettamente. Invece è imbrattata come tante altre vie. Ed è difficile stabilire se sia più orribile la sequenza di segni rossiblu-viola (impossibile capire se abbiano un qualsiasi senso grafico) o l’orribile pizza-store che si affaccia sulla scalinata. Identiche brutture in via delle Tre Cannelle, una splendida propaggine dell’area dei Fori: anche qui le mura sono state trasformate in spazi per scritte demenziali, inclusa una svastica nera (proprio qui vicino nell’aprile 2015 è stata vergognosamente offesa con un’odiosa scritta antisemita la memoria del rabbino Elio Toaff poche ore dopo la sua morte).
In quanto a via Cavour, tutti gli spazi bianchi sono pieni di pseudo-scritte. Qui appare prepotentemente l’arancione. Un po’ più su, via del Colle Oppio potrebbe offrire uno scorcio bellissimo di città: ma tutti i muri sono pieni di tracce del passaggio di tanti, troppi devastatori. Naturalmente meno si cancellano queste scritte, più aumentano di numero. Una spirale che nessuno interrompe. Gli ultrà A lungotevere delle Armi appaiono inopinatamente gli Ultrà Lodigiani, in rosso, proprio sotto una bellissima spalliera di edera: la conferma di come il Bello, o la semplice eleganza, possano essere intollerabili. Restando sempre sull’asse del lungotevere, c’è un’altra area diventata arena di writer: piazza Augusto Imperatore, anche per la sua condizione di cantiere eterno (degrado chiama degrado).
In quanto a lungotevere Flaminio, un minaccioso «Prima o poi te pizzico!» annuncia da mesi e mesi una vendetta, e chissà come è andata a finire. A pochi metri l’austera bellezza di via Flaminia è deturpata per decine e decine di metri. E poi bisognerebbe parlare dell’incanto ferito di via di Ripetta, dell’autentico massacro di via Labicana, dei marmi offesi di viale Maresciallo Pilsudsky.
Muri devastati anche nel complesso del Foro Italico e lungo l’asse di viale Parioli, e così in viale Liegi, in viale Regina Margherita, a circonvallazione Clodia. Per «Simy ti amo» (spray nero in piazzale Maresciallo Diaz) vale lo stesso discorso per l’ipotetica Rampolla: piantare subito in asso il vandalo. Inutile perdere tempo, è solo un imbecille.