Calopresti: amiamo il rione la politica riqualifichi la zona
Il regista, attori e cittadini chiedono rilancio e integrazione
Pronti a combattere contro il degrado, ma ostinatamente innamorati del rione, anche dopo lo stupro sotto i portici di piazza Vittorio. Torna a parlare Carlotta Natoli, l’attrice che è ormai il volto della rete degli abitanti «Esquilino Vivo»: «Credo che la violenza sia un’altra storia. Nel degrado tutto può succedere. Chiediamo che una rappresentanza degli abitanti possa sedere al tavolo tecnico con le società di servizi e le forze dell’ordine. Siamo in tanti, nella rete, non solo facce conosciute: Nana storica fioraia della piazza, il commerciante, l’artista, l’impiegato, il disoccupato. Uniti non da un credo, ma da un’azione comune perché il quartiere non venga relegato a zona di contenimento. Allora sì, si rischierebbe una guerriglia fra poveri».
Inguaribilmente legato a quel nodo di architetture, razze diverse, bellezza mista a disagio profondo è anche il regista Mimmo Calopresti, che osserva: «Quando gli abitanti si riappropriano dei giardini, i pusher si spostano a Colle Oppio, e così via. Un andirivieni che la rete dei cittadini fa bene a combattere scendendo in piazza e per strada, tenendo per mano i bambini che hanno il diritto di giocare nel parco. L’Esquilino è composto di isole di grande forza, come la scuola Di Donato, la libreria sotto i portici, il cinema Apollo 11, il teatro Ambra Jovinelli, fra loro scollegate. Solo un intervento di riqualificazione che preveda un responsabilità politica può riallacciare il rione.
Un posto così bello! In tanti se ne sono invaghiti dopo quella mia inquadratura dall’alto in La felicità non costa
niente». Scherza, evocando un’istituzione del rione, la proprietaria del ristorante cinese Hang Zhou di via Principe Eugenio: «Sonia sindaco dell’Esquilino! Il suo senso pratico, il suo sorriso, sarebbero un buon inizio».
Aspettando Sonia, la sporcizia aumenta, insieme allo spaccio. E al degrado non c’è fine. L’attore Thomas Trabacchi, protagonista dell’ultimo
film di Francesca Comencini Amori che non sanno stare al
mondo, non si dà pace: «Vengo da Milano, ma è Roma, la vera metropoli, che guarda a Sud. L’indiano sotto casa mi ha regalato il Corano, prendo lezioni di bengalese. Qui l’integrazione è ben avviata. E i cittadini sono protagonisti di un atto politico, che è cosa ben diversa dalla politica. Sarebbe un peccato perdere l’occasione. Le istituzioni facciano la loro parte».
Di origini milanesi è pure l’architetto Francesco Menegatti, figlio del regista Beppe e della danzatrice Carla Fracci: «Quando arrivai, nel 2001, fui colpito dalla bellezza di Roma, da togliere il fiato. Vorrei che quella stessa tensione verso l’alto contagiasse i politici, costringendoli a ragionare secondo un progetto elevato, non sull’onda dei sondaggi. Insegnando al Politecnico, ho assistito alla trasformazione della Chinatown di via Paolo Sarti. La strada è stata reinventata, ora è piena di bei locali. Può succedere anche qui, conservando il tessuto umano che fa sì che al funerale di un barbone partecipi l’intero rione, tanto gli volevamo bene. Guai ai luoghi asettici».