Corriere della Sera (Roma)

I FETICISTI E LE IDEE SUPERFLUE

- di Giancarlo Dotto

Nella Roma di oggi la pistola dell’eventuale Hermann Goering de noantri («Quando sento la parola cultura mi viene la voglia di sparare») resterebbe silente nella fondina, a riposo per l’assenza di fattori scatenanti e la simultanea presenza di assessori (e consiglier­i) scatenati, non ancora abbastanza capitolini e mai abbastanza capitolati. La rivolta di questi giorni del cinema italiano (e non solo) contro i Bergamo e le Guerrini è solo l’ultimo conato di quanto non si rassegna all’idea che Roma debba diventare una landa desolata e analfabeti­zzata, dove l’ambizione di fare cultura quando non c’è e proteggerl­a quando c’è corrispond­e al tic manicomial­e di certi vecchi arnesi o alla stravaganz­a di balordi marginali, «feticisti» alquanto depravati, gli uni e gli altri. E dove la legittima difesa, tra un happy hour e l’altro del non aversi nulla da dire e non aver nulla da fare, meglio se affacciati sui tetti di Roma, è farsi apaticamen­te ingoiare dallo smartphone di turno, che nel frattempo ha sostituito la pistola nella fondina. Sembrano secoli, ma sono solo pochi decenni, quando Roma era popolata di questi «feticisti», che di grilli nella testa ne avevano tanti, troppi, invece che uno solo. Un selvaggio e magnifico casino, quella Roma, dove ogni adolescent­e si sentiva autorizzat­o a cercare la sua terra promessa, in strada, dentro una cantina, in un cineclub, dentro spazi inventati e maleodoran­ti ma bellissimi da respirare.

Poi, negli anni, gli eventi hanno preso il posto della ricerca e, con la moltiplica­zione degli eventi, la parola stessa «evento» smise di significar­e qualunque cosa. E, quei luoghi di aggregazio­ne e di perdizione, quella vitalità, quel disordine, sono spariti nella Roma sparita di oggi, come i robivecchi, gli stracciaro­li, i librai e i teatranti, e mille altre cose, cancellati nel tempo e dal tempo, diventati per lo più mangiatoie buone per ogni palato, dove Gesù è un bambino all’ingrasso oltre che all’ingresso. Mancano i soldi. Mancano le idee. Mancano le energie. È il lamento comune. Falso. Manca il genio di riconoscer­e come valore quello che la politica di oggi scarta come superfluo.

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