Corriere della Sera (Roma)

«Mio figlio non ha mai detto quelle cose»

- Cla. Sal.

«Non siamo razzisti. Non siamo antisemiti. Ci tengo a precisarlo. Da quando è venuta fuori questa storia siamo sommersi di telefonate. Ma quello che è stato scritto non è la verità». A parlare è il papà del giovane commercian­te di viale Regina Margherita, accusato di ingiuria aggravata dall’odio razziale nei confronti della sua vicina di negozio. «Il mio socio è un noto esponente della comunità ebraica. Lavoriamo insieme da quaranta anni. Come potrei io, o come potrebbe mio figlio, rivolgersi in quel modo ad una persona di religione ebraica?».

Lei c’era in negozio di quel 31 luglio di quattro anni fa?

«No non c’ero. Mi hanno raccontato tutto mio figlio e le nostre dipendenti. E le cose non sono andate così».

Come sono andate?

«Quel giorno stavano facendo inventario e lo avrebbero fatto anche nei due giorni a seguire. Questo è un negozio grande, ci vuole del tempo. E la figlia dei vicini, che è cresciuta tra le mura della nostra attività, era venuta più volte, come accadeva tutti i giorni. Per la sua sicurezza l’abbiamo invitata, solo per quel giorno e i due successivi, a non venire».

E come è possibile che ne siano usciti insulti ritenuti razzisti?

«Secondo me è stato solo un grande fraintendi­mento. Mio figlio e i proprietar­i dell’altro negozio nel parlare avevano toccato l’argomento Israele-Palestina. Un argomento delicato e infuocato. E mio figlio, forse sbagliando - questo io non lo so - ha detto che Israele aveva le armi e la tecnologia e che purtroppo aveva colpito obiettivi civili».

Ma fino a quel momento i vostri rapporti come erano?

«Ottimi, di buon vicinato. Se a loro serviva la macchina gliela prestavamo».

E suo figlio?

«Ho dovuto allontanar­lo per il suo bene. Io gli ho insegnato l’educazione e il rispetto per tutti, ebrei e musulmani, senza distinzion­e di religione».

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