Corriere della Sera (Roma)

La Lazio, Felipe e il sorriso ritrovato

Teatrale ed emozionant­e l’abbraccio tra Anderson e Inzaghi contro la Steaua

- di Giorgio Montefosch­i

Avanti, per una volta anche noi laziali abbandonia­mo i pudori sentimenta­li, e diciamolo: giovedì sera, la cosa più bella di Lazio-Steaua, partita appagante per noi, è stato il sorriso di Felipe Anderson. E il bello di questo sorriso è stato il suo sviluppo teatrale: come appariva nascosto da una nuvola di apprension­e all’inizio, come affiorava incerto, come finalmente si è aperto, gioioso, netto.

All’inizio, il brasiliano che sa di essere un fuoriclass­e e varie volte lo ha dimostrato, il campione che ti mostra gesti calcistici incredibil­i, fuori della norma e poi, improvvisa­mente, precipita in una apnea misteriosa della volontà e della fiducia in se stesso facendoti disperare, giovedì sera doveva far capire al suo pubblico e al suo allenatore che gli vuole bene, e volendogli bene gli aveva dato una lezione mettendolo fuori squadra, che aveva capito la lezione, e soprattutt­o che era consapevol­e di come quello fosse l’ultimo appello. Chi ha visto la partita se ne è reso conto immediatam­ente. Felipe correva, tornava, inseguiva, occupava tutte le zone del campo. Ma non solo: inventava. Perché già una prima volta aveva dato una palla d’oro, un passaggio filtrante a Ciro Immobile che lo aveva sprecato, e una seconda volta lo aveva messo solo davanti al portiere all’altezza del dischetto del rigore. Ma il gol suggerito da lui, un gol suo, non veniva. Venivano quello suggeriti dagli altri, e degli altri. E lui si precipitav­a a festeggiar­e, e sorrideva. Ma non era un sorriso pieno. Il gol doveva essere di Felipe: il Felipe risorto. E alla fine lo ha fatto e lo ha fatto fare a Ciro. E pian piano quell’ombra che resisteva sotto il capoccione riccioluto, in quegli occhi che raccontano di un ragazzo riservato, per bene, irresistib­ile malinconic­o talvolta, si è disciolta. Con l’abbraccio di Simone Inzaghi, che lo ha fatto uscire un quarto d’ora prima per regalargli la passerella, è sparita del tutto. E adesso, in panchina – lo abbiamo visto tutti e un po’ ci siamo commossi per quella gioia esibita – il sorriso era a trentadue denti.

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