La Lazio, Felipe e il sorriso ritrovato
Teatrale ed emozionante l’abbraccio tra Anderson e Inzaghi contro la Steaua
Avanti, per una volta anche noi laziali abbandoniamo i pudori sentimentali, e diciamolo: giovedì sera, la cosa più bella di Lazio-Steaua, partita appagante per noi, è stato il sorriso di Felipe Anderson. E il bello di questo sorriso è stato il suo sviluppo teatrale: come appariva nascosto da una nuvola di apprensione all’inizio, come affiorava incerto, come finalmente si è aperto, gioioso, netto.
All’inizio, il brasiliano che sa di essere un fuoriclasse e varie volte lo ha dimostrato, il campione che ti mostra gesti calcistici incredibili, fuori della norma e poi, improvvisamente, precipita in una apnea misteriosa della volontà e della fiducia in se stesso facendoti disperare, giovedì sera doveva far capire al suo pubblico e al suo allenatore che gli vuole bene, e volendogli bene gli aveva dato una lezione mettendolo fuori squadra, che aveva capito la lezione, e soprattutto che era consapevole di come quello fosse l’ultimo appello. Chi ha visto la partita se ne è reso conto immediatamente. Felipe correva, tornava, inseguiva, occupava tutte le zone del campo. Ma non solo: inventava. Perché già una prima volta aveva dato una palla d’oro, un passaggio filtrante a Ciro Immobile che lo aveva sprecato, e una seconda volta lo aveva messo solo davanti al portiere all’altezza del dischetto del rigore. Ma il gol suggerito da lui, un gol suo, non veniva. Venivano quello suggeriti dagli altri, e degli altri. E lui si precipitava a festeggiare, e sorrideva. Ma non era un sorriso pieno. Il gol doveva essere di Felipe: il Felipe risorto. E alla fine lo ha fatto e lo ha fatto fare a Ciro. E pian piano quell’ombra che resisteva sotto il capoccione riccioluto, in quegli occhi che raccontano di un ragazzo riservato, per bene, irresistibile malinconico talvolta, si è disciolta. Con l’abbraccio di Simone Inzaghi, che lo ha fatto uscire un quarto d’ora prima per regalargli la passerella, è sparita del tutto. E adesso, in panchina – lo abbiamo visto tutti e un po’ ci siamo commossi per quella gioia esibita – il sorriso era a trentadue denti.