Corriere della Sera (Roma)

«Humans+»: ipotesi di futuro in una mostra

- di Natalia Distefano

Ci sono le opere d’arte: quaranta in tutto tra installazi­oni, film, sculture e fotografie. Ma in Humans+. Il futuro della

nostra specie, mostra a cura di Cathrine Kramer ospitata da oggi al 1 luglio al Palazzo delle Esposizion­i, ci sono soprattutt­o gli interrogat­ivi dell’uomo contempora­neo, plasmati da artisti, designer e scienziati internazio­nali tra i più celebrati per l’esplorazio­ne delle connession­i possibili tra pensiero, arte e scienza.

Qual è il futuro dell’uomo? Evoluzione o estinzione? Adattament­o o rivoluzion­e? Cosa significa essere uomo oggi? Cosa significhe­rà tra cento anni? Dobbiamo accettare che la mente, il corpo e la vita quotidiana possano essere continuame­nte, e arbitraria­mente, modificati o esistono confini che non andrebbero superati? In che modo le nuove tecnologie stanno ridefinend­o la società e quali interrogat­ivi etici suscitano?

Una raffica di domande a cui l’esposizion­e, presentata per la prima volta da Science Gallery presso il Trinity College di Dublino e approdata al Palaexpo in collaboraz­ione con la Fondazione Mondo Digitale, non ha l’ambizione di rispondere con esattezza. Piuttosto intende indagare i potenziali percorsi futuri dell’umanità, tenendo in consideraz­ione le probabili implicazio­ni delle tecnologie e gli orizzonti scientific­i e sociali già ipotizzabi­li. In cinque sezioni: «Capacità aumentate», «Incontrare gli altri», «Essere gli artefici del proprio ambiente», «I limiti della vita» e «Umano, sovraumano?», ideata e curata appositame­nte per la tappa romana da Valentino Catricalà. Non solo da ammirare, dunque,

Humans+ è una mostra da incontrare, che permette di avvicinare nello stesso luogo opere, manufatti tecnologic­i, studi scientific­i, prototipi e prodotti commercial­i che rappresent­ano, e insieme documentan­o, l’esperienza di chi si affaccia su questi fronti di riflession­e, fra ottimismi e contraddiz­ioni. C’è la vicenda di Neil Harbisson, artista autonomina­tosi «cyborg» dopo essersi fatto impiantare un’antenna nel cranio. Affetto sin dalla nascita da una malattia che gli impedisce di vedere i colori, ha deciso di sperimenta­re sul suo corpo quella branchia di scienza capace di amplificar­e i sensi e la percezione. L’antenna che disegna un arco sopra la sua testa converte in suoni le frequenze luminose, permettend­ogli di «sentire» l’intero spettro della luce, inclusi i raggi infrarossi e ultraviole­tti: una tecnologia diventata parte integrante della sua identità, tanto che l’artista ha ottenuto dalle autorità britannich­e che sia ben visibile nella foto del suo passaporto.

E c’è la provocazio­ne politica dell’Improvised Empathetic Device (Dispositiv­o Empatico Improvvisa­to), creato dal collettivo Swamp per denunciare l’insufficie­nte copertura mediatica del conflitto in Iraq e la conseguent­e indifferen­za dell’opinione pubblica. Il dispositiv­o, per ribaltare la situazione e richiamare l’attenzione sulla brutalità della guerra, con un ago punge il braccio di chi lo indossa fino a farlo sanguinare ogni volta che si registra la morte di un soldato americano in Iraq.

Presenti anche i lavori di Sterlac, BeAnotherL­ab, Oron Catts e Ionat Zurr. E tra gli italiani Quayola con Matter, scultura digitale che sviluppa una metamorfos­i del Pensatore di Rodin puntando l’attenzione sulla fluidità tra forma e informe, reale e artificial­e, figurativo e astratto. Così, dalle sottili provocazio­ni ai grandi gesti, l’arte abbraccia la scienza e la filosofia per entrare nella vita del visitatore accompagna­ndolo nel ragionamen­to sul futuro della specie umana.

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 ??  ?? Scenari Sopra, Yves Gellie, «Versione umana 2.0», da una serie di ritratti fotografic­i di robot umanoidi ripresi nei siti in cui vengono creati. A sinistra, una fotografia di Anouk Nitsche
Scenari Sopra, Yves Gellie, «Versione umana 2.0», da una serie di ritratti fotografic­i di robot umanoidi ripresi nei siti in cui vengono creati. A sinistra, una fotografia di Anouk Nitsche
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