«Humans+»: ipotesi di futuro in una mostra
Ci sono le opere d’arte: quaranta in tutto tra installazioni, film, sculture e fotografie. Ma in Humans+. Il futuro della
nostra specie, mostra a cura di Cathrine Kramer ospitata da oggi al 1 luglio al Palazzo delle Esposizioni, ci sono soprattutto gli interrogativi dell’uomo contemporaneo, plasmati da artisti, designer e scienziati internazionali tra i più celebrati per l’esplorazione delle connessioni possibili tra pensiero, arte e scienza.
Qual è il futuro dell’uomo? Evoluzione o estinzione? Adattamento o rivoluzione? Cosa significa essere uomo oggi? Cosa significherà tra cento anni? Dobbiamo accettare che la mente, il corpo e la vita quotidiana possano essere continuamente, e arbitrariamente, modificati o esistono confini che non andrebbero superati? In che modo le nuove tecnologie stanno ridefinendo la società e quali interrogativi etici suscitano?
Una raffica di domande a cui l’esposizione, presentata per la prima volta da Science Gallery presso il Trinity College di Dublino e approdata al Palaexpo in collaborazione con la Fondazione Mondo Digitale, non ha l’ambizione di rispondere con esattezza. Piuttosto intende indagare i potenziali percorsi futuri dell’umanità, tenendo in considerazione le probabili implicazioni delle tecnologie e gli orizzonti scientifici e sociali già ipotizzabili. In cinque sezioni: «Capacità aumentate», «Incontrare gli altri», «Essere gli artefici del proprio ambiente», «I limiti della vita» e «Umano, sovraumano?», ideata e curata appositamente per la tappa romana da Valentino Catricalà. Non solo da ammirare, dunque,
Humans+ è una mostra da incontrare, che permette di avvicinare nello stesso luogo opere, manufatti tecnologici, studi scientifici, prototipi e prodotti commerciali che rappresentano, e insieme documentano, l’esperienza di chi si affaccia su questi fronti di riflessione, fra ottimismi e contraddizioni. C’è la vicenda di Neil Harbisson, artista autonominatosi «cyborg» dopo essersi fatto impiantare un’antenna nel cranio. Affetto sin dalla nascita da una malattia che gli impedisce di vedere i colori, ha deciso di sperimentare sul suo corpo quella branchia di scienza capace di amplificare i sensi e la percezione. L’antenna che disegna un arco sopra la sua testa converte in suoni le frequenze luminose, permettendogli di «sentire» l’intero spettro della luce, inclusi i raggi infrarossi e ultravioletti: una tecnologia diventata parte integrante della sua identità, tanto che l’artista ha ottenuto dalle autorità britanniche che sia ben visibile nella foto del suo passaporto.
E c’è la provocazione politica dell’Improvised Empathetic Device (Dispositivo Empatico Improvvisato), creato dal collettivo Swamp per denunciare l’insufficiente copertura mediatica del conflitto in Iraq e la conseguente indifferenza dell’opinione pubblica. Il dispositivo, per ribaltare la situazione e richiamare l’attenzione sulla brutalità della guerra, con un ago punge il braccio di chi lo indossa fino a farlo sanguinare ogni volta che si registra la morte di un soldato americano in Iraq.
Presenti anche i lavori di Sterlac, BeAnotherLab, Oron Catts e Ionat Zurr. E tra gli italiani Quayola con Matter, scultura digitale che sviluppa una metamorfosi del Pensatore di Rodin puntando l’attenzione sulla fluidità tra forma e informe, reale e artificiale, figurativo e astratto. Così, dalle sottili provocazioni ai grandi gesti, l’arte abbraccia la scienza e la filosofia per entrare nella vita del visitatore accompagnandolo nel ragionamento sul futuro della specie umana.