La difesa di Buzzi all’attacco «Ascoltate 70 nuovi testi»
Al via l’appello per Mafia Capitale, sentenza prevista a giugno
Massimo Carminati, gambe larghe e braccia conserte, siede in collegamento dal carcere di Tolmezzo, consapevole che, attorno a lui, si gioca una nuova partita.
Il processo d’appello per il Mondo di Mezzo, appena iniziato, ruota attorno al suo prestigio criminale: a seconda di come l’ex Nar verrà considerato — se malavitoso di strada o boss in grado di mobilitare forze criminali — si deciderà l’esito del giudizio. E l’esistenza della dibattuta mafia romana che, per l’accusa, ricava la propria forza dal potere intimidatorio del Nero.
Ed ecco perché, nell’aula bunker di Rebibbia, Giosuè e Ippolita Naso tornano ad attaccare i media che si sono occupati della carriera criminale del loro cliente (condannato a 20 anni in I grado), immeritatamente a loro avviso: «Questo è un processetto mediaticamente costruito in una certa maniera per condizionarvi — ripete Naso — anche con le inchieste del giornalista Lirio Abbate che io ho ribattezzato “Delirio” Abbate».
A distanza, la replica: «Puntare il dito contro un giornalista in un’aula di giustizia con imputati per mafia è come indicare un bersaglio» dice il giornalista de L’Espresso.
Se per la difesa di Carminati il problema è l’ingombrante curriculum del Nero, per quella di Buzzi, gli avvocati Alessandro Diddi e Piergerardo Santoro, vanno valorizzate le ammissioni del re delle coop che si descrive come vittima di una politica composta da concussori e postulanti. Buzzi concusso e non corruttore è la scommessa processuale della difesa che punta a ridimensionare i 19 anni di carcere avuti in primo grado da Buzzi.
Diddi e Santoro chiedono di integrare gli atti processuali ascoltando settanta nuove testimonianze fra cui quella dell’ex consigliere Pd Eugenio Patané, dell’ex capo segreteria di Gianni Alemanno, Antonio Lucarelli e di Maria Letizia Santarelli la funzionaria della ragioneria capitolina. I primi due, soprattutto, dovrebbero integrare le dichiarazioni fatte a suo tempo ai pm Cascini, Ielo e Tescaroli da Buzzi, in merito ai finanziamenti sollecitati dalla politica.
Già fissate quattro udienze a settimana, il processo si concluderà a giugno. Il collegio è presieduto da Claudio Tortora che, nel 2016, da presidente della seconda sezione, aveva escluso l’esistenza di una mafia a Ostia, sostenendo che difettasse «la prova della pervasività del potere coercitivo del gruppo Fasciani».