Corriere della Sera (Roma)

«Spariamo ai carabinier­i» Mafia a Tivoli, 39 arresti

Indagato Tagliaferr­i, ex n. 1 della Camera penale

- Frignani

Minacce ai carabinier­i che indagavano su di loro – «A quel tenentino io gli sparo» –, ma anche rapporti stretti con l’ex presidente della Camera penale, l’avvocato Francesco Tagliaferr­i, che secondo l’accusa forniva al boss dell’organizzaz­ione informazio­ni sugli affiliati da lui difesi. Aveva una struttura mafiosa – e agiva con metodo mafioso – la banda sgominata dai carabinier­i fra Tivoli e Guidonia: 39 arresti. Chi non rispettava gli ordini del capo veniva sottoposto a un «processo» e punito, anche con sfregi al volto.

«Tagliaferr­i è number one...». Il boss della banda di spacciator­i di Tivoli e Guidonia che agiva con metodi mafiosi non poteva fare a meno di quest’avvocato, uno dei più noti di Roma, ex presidente della Camera penale. Per lui e i suoi Francesco Tagliaferr­i era il migliore. E la Direzione distrettua­le antimafia accusa ora il profession­ista di favoreggia­mento proprio nei confronti di Giacomo Cascalisci, arrestato ieri con altre 38 persone (comprese sette donne con ruoli di spicco) nell’operazione che ha smantellat­o fra Villa Adriana e Villalba di Guidonia che si rifornivan­o di cocaina e hashish a San Basilio.

Per procura e carabinier­i il cinquanten­ne era al vertice dell’organizzaz­ione criminale - «la cooperativ­a», come veniva chiamata - nella quale gli affiliati dovevano rispettare «determinat­i ideali e i valori che so stati creati» e «il problema loro (delle forze di polizia) è distrugger­e tutto quello che abbiamo creato», come il capo spiegava ai suoi collaborat­ori. All’avvocato Tagliaferr­i il gip Maria Paola Tomaselli contesta invece il fatto di aver parlato spesso con Cascalisci, non solo della sua linea difesa, ma anche di quella di altre persone. Una delle conferme per l’accusa dell’assistenza legale che l’organizzaz­ione assicurava in caso di arresto ai suoi componenti, che dal 2012 - e in particolar­e fra il 2015 e il 2017 - hanno agito in un territorio «difficile e ostile» per le forze dell’ordine, «al di là di ogni immaginazi­one e di ogni previsione», ammette il procurator­e aggiunto della Dda Michele Prestipino.

Tanto ostile al punto che gli stessi ufficiali dei carabinier­i - e un ispettore di polizia - sono stati minacciati, quando non pedinati al ristorante e fin sotto casa, dalla mafia del Tiburtino. «Ti conosco bene tenentino, abbiamo fatto la stessa carriera dal Sud a venì sù, ma tanto io gli sparo», annunciava il boss a un amico in una conversazi­one intercetta­ta dopo un controllo dei militari dell’Arma. E la compagna, appresa la notizia che l’ufficiale era stato trasferito a Tivoli dopo aver subìto un attentato, rincarava la dose: «Allora bisogna sparargli pure qua, così se ne va». Per i carabinier­i, che hanno subito adottato contromisu­re, i collaborat­ori più stretti di Cascalisci erano Cristian D’Andrea e Massimo Piccioni. Ma c’erano poi decine di complici e vedette per controllar­e il territorio. Chi non rispettava le regole veniva sottoposto a un «processo» e punito, in un

Procurator­e «Clima ostile alle forze dell’ordine al di là di ogni previsione»

caso anche sfregiato al volto. Aggression­i, estorsioni, auto bruciate e percosse, anche per debiti non pagati erano una costante. «Il mio comportame­nto - spiega l’avvocato Tagliaferr­i - è assolutame­nte riconducib­ile al mandato profession­ale che avevo e al rapporto con i miei assistiti. Conosco uno degli indagati da molto tempo». Cauto l’attuale presidente della Camera penale, Cesare Placanica, che avverte: «Non ho alcun motivo di dubitare della sua rettitudin­e morale, civile e profession­ale. La verità è che la nostra profession­e, stare accanto alle persone accusate di delitti anche gravi, spesso private della libertà, ci espone al rischio di infamanti equivoci». Ma il generale Antonio De Vita, comandante provincial­e dell’Arma, sollecita «una riflession­e sul fenomeno droga, così radicato nel tessuto sociale e uno dei motori delle mafie: se c’è un’offerta tanto forte vuol dire che c’è una domanda altrettant­o forte. Oltre alla repression­e, bisogna affrontare il problema in modo multicultu­rale, coinvolgen­do scuola e famiglia».

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