«Io e quelle foto in via Fani per il Corriere» Mario Proto racconta la storia di uno scoop
La strage di via Fani, 40 anni fa oggi, è anche la storia di uno scoop. Foto storiche che hanno fatto il giro del mondo, mostrando in esclusiva la truce dimensione dell’agguato brigatista per rapire Aldo Moro. «Calcola che solo il giorno dopo capii che foto avevo fatto. Neanche al Corriere della Sera ne erano consapevoli, perché non c’erano i social e gli smartphone, non si guardava tutto in tempo reale, c’erano ancora le pellicole da sviluppare e solo dal paragone con gli altri giornali ci rendemmo conto che nessuno era arrivato in tempo, oltre me», racconta l’autore di quegli scatti. Mario Proto, romano, classe ‘53, fotoreporter da sempre, quel giorno ebbe il fiuto e la prontezza che valgono una carriera. «Nacque quasi per caso».
«Ero su piazza delle Medaglie D’Oro, diretto a Montecitorio per la fiducia al compromesso storico. Davanti a me passano una dopo l’altra gazzelle, ambulanze, polizia in borghese con agenti a mezzo busto fuori dal finestrino con la paletta in mano. Comincio a inseguirli con la mia Fiat 127 rossa, mi bloccano a via Trionfale, lascio la macchina dove capita e proseguo di corsa, per fortuna in discesa. Penso a uno dei tanti scontri tra destra e sinistra di quegli anni, invece mi trovo davanti il primo agente della scorta a terra mentre un barelliere lo sta coprendo col lenzuolo. Faccio in tempo a scattare e proseguo verso l’auto di Moro, la 130 che usava sempre e che ho riconosciuto per averla vista tante volte. A terra ci sono bossoli ovunque, dentro ci sono gli altri due agenti, ma se prima ero in piena luce, nell’abitacolo è quasi buio. Di istinto apro al massimo il diaframma della mia Nikon F1 e scatto ancora. Quegli uomini li conoscevo, ho condiviso con loro attese e sigarette. Non fu facile restare freddo, ma per fortuna l’obbiettivo fa anche da filtro. Poi mi resi conto e ci stetti male». Il resto è storia. Gli altri fotografi arrivano oltre mezz’ora dopo e solo il Corriere ha quelle immagini. «Ho fatto altri scoop, ma quelle rimangono uniche. Senza digitale devi fidarti dell’istinto e aspettare lo sviluppo. All’inizio passarono come foto comuni, fra le tante del giorno. Solo in quello successivo vennero valorizzate. A colori potevano valere chissà quanto, mi resta la gloria e l’orgoglio di averle fatte».