Morì in seguito al trapianto: il cuore era sano
Il cuore donato a Roberto Martini, morto dopo il trapianto avvenuto nell’agosto del 2016 al San Camillo, «risultava idoneo» allo scopo. Lo scrivono i consulenti nominati dalla procura di Milano per accertare se l’organo del donatore, 48 anni, deceduto nel capoluogo lombardo, fosse adatto all’intervento. La relazione scagiona l’equipe del San Raffaele.
Il cuore donato a Roberto Martini, morto dopo il trapianto avvenuto nell’agosto del 2016 al San Camillo, «risultava idoneo» allo scopo. Lo scrivono i consulenti nominati dalla procura di Milano per accertare se l’organo del donatore, 48 anni, deceduto nel capoluogo lombardo, fosse adatto all’intervento. La relazione scagiona l’equipe del San Raffaele, responsabile dell’espianto: «L’organo non presentava patologie che controindicassero l’operazione». Aggiungono i professionisti che «il donatore rientrava nei criteri d’idoneità alla donazione cardiaca». Martini, secondo i consulenti, ha avuto uno stato di choc refrattario, detto primary graft failure - diverso dal rigetto - «tutt’altro che infrequente dopo un trapianto cardiaco». A causarlo, una disfunzione ventricolare. Infine, che l’espianto sia stato condotto secondo il protocollo lo conferma la circostanza che altri organi del donatore non abbiano creato problemi nei riceventi.