Solfrini, il «Doctor J» del basket italiano
Aveva 60 anni. Argento ai Giochi di Mosca nell’80, vinse tutto con il Banco Roma
Il basket italiano si è fermato ieri per un minuto sui campi di serie A per onorare il ricordo di Marco Solfrini, gigante buono scomparso sabato scorso all’improvviso a 60 anni, stroncato da un infarto mentre si trovava alla fiera di Parma. Bresciano, medaglia d’argento con la Nazionale ai Giochi olimpici di Mosca nel 1980, è stata una delle colonne dell’epopea del Banco Roma con cui vinse scudetto (1983), Coppa Campioni, Coppa Intercontinentale (1984) e Coppa Korac (1986).
La notizia ha sconvolto l’ambiente cestistico romano, la Virtus con una nota si è voluta unire al dolore della famiglia e dell’intero movimento italiano: «La Virtus Roma accoglie con immenso dolore la notizia della scomparsa di Marco Solfrini, colonna della Virtus campione d’Italia e d’Europa, e si unisce al profondo cordoglio dei familiari partecipando a questo momento di grande dolore». Unanime il sentimento di sgomento che ha attraversato l’Italia del canestro, con in testa la Leonessa Brescia, la società in cui Solfrini era diventato professionista e che nel 2011 aveva riabbracciato nel ruolo di team manager. Ribattezzato il «Doctor J» italiano (dal soprannome dell’americano Julius Erving, uno dei più grandi cestisti di ogni tempo), aveva braccia infinite e un innato senso del gioco, anticipando i tempi per impersonare il giocatore moderno che univa alla stazza fisica un’incredibile mobilità che si trasformava spesso in capacità realizzativa. Con Solfrini se ne va un pezzo di storia del basket romano, protagonista di quella fantastica avventura mai ripetuta da una squadra della Capitale, come sottolinea nel suo commosso ricordo Valerio Bianchini, il condottiero di quel gruppo.
«Come giocatore qualsiasi allenatore avrebbe voluto averlo nella sua squadra. L’amato Tiramolla, era un giocatore di rara intelligenza che in campo o in panchina vedeva quello che io non riuscivo a vedere. Ma era anche il compagno nel viaggio della vita col quale potevi confidarti e parlare di cose che erano lontanissime dal nostro mestiere di sportivi. Era un fiore di rara bellezza spuntato tra le asperità del mondo dello sport».