La città dipinta da Nathan al Sessantotto
Via Crispi La città moderna raccontata in 180 opere della Galleria d’Arte Moderna
Più che una mostra, un vero e proprio riallestimento del museo su tre piani. Filo rosso la Città Eterna, soggetto ricorrente nella sterminata collezione (oltre cinquemila opere) di quella che oggi si chiama Galleria d’arte moderna di Roma ma che un tempo fu Galleria Comunale e, prima ancora, Galleria Mussolini.
A prescindere dalle mutazioni del lessico, si tratta di una delle collezioni pubbliche d’arte italiana dell’Otto-Novecento più importanti del Paese. Alla quale — un po’ forzatamente dati gli esigui spazi dell’ex convento di via Crispi — viene applicato da anni il criterio della rotazione delle opere, con un’intelligente politica di esposizioni a tema. L’ultima in ordine di tempo quella inaugurata ieri, Roma città moderna. Da Nathan al Sessantotto, con 180 tra dipinti, sculture, grafica e fotografia selezionati all’interno delle collezioni capitoline (tra i rari prestiti esterni, opere da Casa Moravia, tra cui Compagni Compagni di Schifano, 1968).
L’idea dei curatori — Claudio Crescentini, Federica Pirani, Gloria Raimondi, Daniela Vasta — è stata quella di mostrare al pubblico lavori mai esposti prima e/o non più visti da tempo, senza tuttavia rinunciare ad alcuni dei pezzi forti del museo, come il celebre ritratto del Cardinal Decano di Scipione. Primo parametro per delimitare l’arco cronologico descritto dall’esposizione, il nome di Ernesto Nathan, sindaco della città dal 1907 al 1913. Mazziniano, anticlericale e gran fautore di un rinnovamento della città, Nathan è presente anche in effige grazie al suo ritratto dipinto da Giacomo Balla nel 1910 (il pittore piemontese fu amico personale del sindaco e maestro di sua figlia, Annie). Secondo parametro invece gli anni Sessanta, testimoniati da opere di Angeli, Ceroli, Festa, Pascali o dello stesso Schifano. In mezzo, sempre con Roma come riferimento — a volte diretto, a volte dialettico, a volte solo allusivo — una sintetica storia dell’arte del Novecento dal simbolismo elegan- te d’inizi secolo al grande dibattito astrazione/figurazione/segno del secondo dopoguerra (Guttuso, Levi, Vespignani su un fronte, e i vari Perilli, Novelli o Turcato sull’altro).
Senza nulla togliere alle pagine più famose di questa storia — come le Demolizioni del piccone fascista testimoniate dal pennello di Mario Mafai negli anni Trenta — uno dei motivi di interesse della mostra sta però proprio nel proporre artisti e opere «minori»: le stesse Demolizioni del rione Augusteo o dei Borghi ma raccontate stavolta da un’Eva Quaiotto o da un’Esther Epifani; il grande polittico oniricosimbolico di Hirsch o le belle foto anonime dagli archivi comunali che documentano le trasformazioni del tessuto urbano pre boom: palazzoni, pecore, acquedotti, periferie...