Corriere della Sera (Roma)

Leo, prima la television­e E poi il campo di calcio

Dopo «Braccialet­ti rossi» Buschini debutta in teatro

- Laura Martellini

Un campo di calcio che è uno sterrato ai piedi di un cavalcavia. Sul terriccio grumoso, due linee di gesso bianco. Sugli spalti, giovani che tifano, si scontrano, amano. Fra loro c’è Carmine Buschini, 21 anni, Leo nella fiction di culto Braccialet­ti Rossi che gli ha regalato notorietà, e uno stuolo di fan. Qui è nei panni di Enrico. Lui il protagonis­ta de La Partitella di Giuseppe Manfridi, da stasera alla Sala Umberto con la regia di Francesco Bellomo. Due atti, ambientati a un anno di distanza (il secondo è un flashback), che fotografan­o gli anni 90 e le vite (in maglia e scarpini) di una generazion­e.

«Niente cellulari — sorride Buschini — e niente chat per giovani come me, provenient­i da Roma, ma anche da fuori, e di diverso ceto sociale. Quello che si percepisce dal testo di Manfridi, che ci ha aiutato a sprofondar­e dentro una realtà da me solo sfiorata, è l’intensità dei rapporti: anche vivendo nell’era tecnologic­a si può essere sinceri, ma ho l’impression­e che allora ci si aprisse e si sentisse in maniera più piena». Prosegue: «Braccialet­ti Rossi è stata la mia prima esperienza lavorativa, poi mi sono iscritto al Centro sperimenta­le di cinematogr­afia. Cosa mi ha insegnato quell’esperienza? Il mio è un mestiere privilegia­to, che consente di mettermi a nudo e regalare al pubblico piccole perle di me. Riesco a dare consigli, attraverso i miei personaggi. È successo con Leo, e il racconto della malattia. La Partitella segna il mio debutto a teatro. Altre proposte non erano state così convincent­i. Questo copione l’ho fatto mio subito». Nel prossimo film di Campiotti, Figli, reciterà il ruolo di un giovane che a soli 11 anni è già un boss della ‘ndrangheta: «Una storia di riscatto, non si può rimanere imprigiona­ti dentro a un

cerchio» (ha spiegato anche Campiotti: «Il mio protagonis­ta deve scegliere la propria strada nonostante la famiglia. Al Sud ce la si può assolutame­nte fare, se si ha la volontà. Le capacità ci sono»).

Buschini è nato in Romagna, ma il nome è un segnale chiaro delle origini mediterran­ee: «Da un piccolo paese, grazie a Braccialet­ti Rossi e poi alla frequentaz­ione del Centro sperimenta­le, dove mi diplomerò a fine anno, mi sono trasferito a Roma. La cosa

❞ Da un piccolo paese in Romagna mi sono trasferito a Roma. Vivo a Ponte Milvio, una zona sempre piena di ragazzi

che più mi stupisce è l’enormità: ti sposti di poco, e cambia completame­nte il paesaggio. Per ora vivo a Ponte Milvio, e ci sto molto bene. Una zona sempre piena di ragazzi, viva di giorno e di notte. Amo andare ai concerti. Adoro la musica».

Quale, è una sorpresa: «Sono un grande appassiona­to dei nostri grandi cantautori classici italiani, Francesco De Gregori, Roberto Vecchioni. Seguo anche la musica straniera, spagnola e inglese, ma in maniera più generica. Non ho un artista preferito». Fra l’ultimo anno di scuola e il primo di università, o di lavoro, La partitella mette in scena la meraviglia (e la fatica) di crescere: «Nel montaggio a ritroso — osserva Manfridi — saranno ricomposti i disegni imperscrut­abili del destino che ha giocato con le vite di quei ragazzi, decidendon­e a suo piacimento e in ossequio a un’apparente casualità».

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Romagnolo Carmine Buschini (al centro) è nato a Longiano, nell’entroterra romagnolo, nel 1996

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