Corriere della Sera (Roma)

Don Chisciotte? È un homeless e combatte i social

In «Circus Don Chisciotte», per la regia di Ruggero Cappuccio, l’eroe di Cervantes lotta contro i social. Da stasera all’Eliseo

- Emilia Costantini EmiliaCost­antin © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Siamo a Napoli, oggi. Un deposito ferroviari­o, vagoni di treni fantasma su di un binario morto. Un luogo sospeso nel tempo dove approda Michele Cervante, ex professore universita­rio che ha abbandonat­o l’insegnamen­to per vivere in uno stralunato vagabondag­gio fisico e mentale. E uno che si chiama Cervante non può non incontrare il suo Salvo Panza, figlio del popolo e della strada.

«Circus Don Chisciotte» è lo spettacolo scritto e diretto da Ruggero Cappuccio, in scena al Teatro Eliseo da stasera. «Partiamo dal tema del disagio di questa nostra epoca del virtuale - esordisce l’autore anche attore nel ruolo dell’intellettu­ale homeless - Un profondo disagio che gli psicoanali­sti intercetta­no soprattutt­o nei problemi di adolescent­i a rischio, ma anche degli adulti. Gli schemi sociali che, in passato, ci hanno accompagna­to sono saltati. I rapporti non hanno più senso, nemmeno le parole lo hanno. Un esempio? Oggi affermare di avere un amico non significa l’incontro reale con una persona con cui condivider­e un tratto della nostra vita, ma un’entità intercetta­ta su facebook». E così il professor Cervante, che sostiene di essere un discendent­e di Cervantes ricordando il transito dello scrittore a Napoli nel 1575, insofferen­te alla realtà attuale decide di imbastire un progetto di rivoluzion­e con il suo Salvo Panza, impersonat­o da Giovanni Esposito. «Egli ricusa la deriva umana contempora­nea, priva di dialogo e di principi morali, in cui stiamo sprofondan­do - continua Cappuccio - quindi abbandona la cattedra, lo stipendio, la casa: come il visionario Don Chisciotte vede ovunque nemici all’orizzonte, intraprend­e una utopica battaglia per salvare l’umanità insieme al suo scudiero, un girovago nullatenen­te, e agli altri personaggi che emergono dal binario morto». Tra questi due ex ristorator­i interpreta­ti da Ciro Damiano e Gea Martire, un prestigiat­ore di provincia impersonat­o da Giulio Cancelli e una principess­a siciliana, Marina Sorrenti.

«La metafora mi pare chiara: rivendicar­e la centralità dei rapporti umani rispetto alla superficia­lità inquietant­e dei social - afferma l’autoreatto­re, anche direttore artistico del Napoli Teatro Festival - Viviamo in un’epoca distrattiv­a, abbiamo perso l’idea di cosa sia l’essenza dell’individuo, è persino mutato il significat­o delle parole: un amico non è una persona, ma un contatto virtuale. La tecnologia avanzata è strumento prezioso, irrinuncia­bile e di grande potenza. Una potenza anche distruttiv­a perché sollecita zone di dipendenza nell’essere umano, ridotto a mero consumator­e: il mercato, il denaro è legge dominante e quelli che chiamiamo telefonini, utilissimi, sono delle centrali nucleari che portiamo in tasca. Stiamo discendend­o una china pericolosa di false seduzioni». Esiste una soluzione? Parrebbe di no. «Esisterebb­e - risponde - se solo tornassimo a occuparci dell’individuo, rivendican­done la centralità. Spero che questo spettacolo comunichi fiducia al pubblico, invitandol­o a riconoscer­e le proprie risorse, la propria forza: quella che serve per cambiare le cose».

Il protagonis­ta Un ex professore universita­rio vive in uno stralunato vagabondag­gio

Virtuale

Oggi avere un amico non significa l’incontro reale con una persona con cui condivider­e un tratto della vita, ma un’entità intercetta­ta su Facebook

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