Tortura la moglie con una lametta
Quanto fa male il nome «Graziano» inciso sul braccio con una lametta? Veronica non ha avuto neanche il privilegio di poter valutare, mentre il marito le urlava: «Decidi, o ti taglio la faccia o le braccia!».
Ridotta in una simil schiavitù, sapeva che la minaccia non sarebbe rimasta inevasa. L’uomo col quale condivideva la cocaina, i domiciliari e i figli, tre, avuti in soli tre anni, le aveva già inflitto «punizioni» analoghe. Colpi di casco al capo, taglio di capelli con un coltello da cucina, strangolamenti, calci, pugni, minacce di morte. Due giorni fa l’aguzzino è stato arrestato dai carabinieri della stazione di Tor Bella Monaca, su ordinanza del gip Giulia Proto, che ha accolto la richiesta del pm Gabriella Fazi.
Lui, un ex pugile, 30 anni, collo taurino e muscoli pronunciati nelle foto su Facebook, da poco era tornato a casa per scontare un residuo di pena per altri reati. Lei, più giovane e minuta, l’aveva tradito — a suo dire — mentre era in galera. E la vita assieme era diventata un continuo di maltrattamenti sotto gli effetti della droga. A luglio lui la sveglia in piena notte: «Rivestite, vamme a piglia’ un pezzo... me serve la cocaina... e sbrigate. Non scappa’, altrimenti ti ammazzo». Lei prova a salvarsi, chiama un’ambulanza fingendo di star male. Ma lui evade dai domiciliari, la raggiunge al pronto soccorso e senza remore la minaccia: «Ora so c... tuoi, ti ammazzo... Sbrigate a torna’ a casa o ti sgarro davanti a tutti, ti squarto, annamosene».
L’inizio della fine dell’incubo comincia quando i servizi sociali del VI municipio segnalano il caso ai carabinieri, il 20 marzo scorso. I militari parlano con i genitori di lei e poi con la vittima, la quale racconta tutto, mostra i referti medici (fratture, ematomi, trama cranici) e racconta che anche la figlia più grande, 4 anni, sa che «papà picchia mamma perché deve andare a prendere i soldini».
L’arresto arriva tempestivo come misura «assolutamente necessaria per salvaguardare l’incolumità della vittima» dalla «pericolosa e reiterata» condotta dell’uomo «in tempi ravvicinati». «Il terrore della donna — scrive il giudice — e lo stato di completa sopraffazione emerge dal fatto che, alla fine delle sue dichiarazioni ai carabinieri, dica non volere “per il momento” procedere penalmente nei confronti del marito». Prigioniera anche nello spirito.
Lo sfregio
Una volta l’uomo le ha inciso il suo nome (Graziano) sul braccio con una lametta