Debora, la tassista investigatrice di Nora Venturini
«Lupo mangia cane», secondo giallo di Nora Venturini
Il giallo è un vizio: quando uno scrittore ci mette un piede dentro c’è da scommettere che, nel tempo di un battito di ciglia, ci infilerà anche l’altro. Quasi un sortilegio, benedetto dai lettori, che ha affollato la letteratura d’investigatori nati per caso ma diventati detective infallibili grazie alla penna sofisticata di instancabili giallisti.
Così, a solo un anno dal suo esordio, ecco riapparire in libreria Siena 23, ovvero Debora Camilli, tassista per necessità e investigatrice per natura sbocciata nel 2017 dall’immaginazione di Nora Venturini.
Se nel primo romanzo, L’ora di punta (Mondadori), l’autrice sentiva più forte l’esigenza di dipingerla — una venticinquenne di Ostia costretta dalla morte del padre a rinunciare al sogno di entrare in Polizia per mandare avanti la famiglia (mamma infermiera e fratello studente) ereditando la licenza da tassista — nel nuovo Lupo mangia cane, ancora per i tipi della casa di Segrate, e che sarà presentato questo giovedì all’Auditorium con Marco Presta e Paola Minaccioni, Venturini entra nel caso nel giro di tre fulminanti pagine. Ed è subito omicidio. In una Roma invernale e notturna, lontana dagli agi dei Parioli della prima indagine al volante condotta dalla sua Camilla, stavolta sprofondata nel girone di senzatetto ed extracomunitari che s’invortica all’Esquilino tra la stazione Termini e l’ostello della Caritas. Sempre con grande ironia, evitando la retorica.
«Il personaggio di Siena 23 mi ronzava in testa da anni — svela l’autrice — ad accenderlo fu una giovane tassista con cui feci una corsa di sera. Mi colpì e pensai che sarebbe entrata in una delle mie sceneggiature per la tv o il teatro. Invece tornò a galla due anni fa quando, dopo tanto lavoro di squadra dietro le quinte e la
❞ Roma è il mio scenario naturale e insieme all’irrequieta e caparbia Debora è una miniera infinita di idee, spunti, atmosfere
macchina da presa, decisi di imbarcarmi nell’avventura solitaria di un romanzo. Alla ricerca dell’assoluta libertà di scrittura». Dalla carriera di regista e sceneggiatrice arriva la capacità di creare immagini, mettere a fuoco la scena e illuminare con puntualità le cose e le persone.
Ma al secondo libro la Venturini ha già tarato definitivamente le lancette della sua narrativa sul ritmo chirurgico della tradizione «gialla» europea, scandita da incalzanti affreschi
psicologici che fanno presto a diventare gemme letterarie. All’occorrenza anche in dialetto romanesco, usato «quanno ce vò» al servizio di volti e quartieri. Meno marcato del siciliano di Camilleri nel Commissario Montalbano ma altrettanto efficace, tra tassinari, monnezzari e piacioni in una Capitale non facile ma generosa, capace di guadagnarsi un ruolo da protagonista tanto quanto la Parigi del commissario Maigret di Simenon.
«Roma è il mio scenario naturale — dice Venturini — e insieme all’irrequieta e caparbia Debora è una miniera infinita di idee, spunti, atmosfere. Impossibile fermarsi, ho già in mente la prossima indagine ma non ho intenzione di scivolare in una produzione frenetica, in stile catena di montaggio, dunque arriverà a suo tempo. Intanto mi stuzzica l’idea di traghettare Debora sullo schermo, chissà!».