«Cosi truccavamo i bandi di gara del Campidoglio»
Ecco come ci si aggiudicava le opere nella Pa
Un imprenditore svela come si truccavano gli appalti per le opere pubbliche del comune di Roma: «Un gruppo di dirigenti capitolini fissava dei prezzi di gara bassissimi per scoraggiare le offerte, partecipavano solo quelli che conoscevano il meccanismo e una volta vinto il bando caricavano dei costi extra grazie ai quali si ripagavano loro stessi e “ringraziavano” i funzionari dell’attenzione», racconta Fernando Sonnino.
«Gli appalti del Comune di Roma nascevano truccati: ribassi anomali, ma tante voci extra caricate per “ripagare” i funzionari amici. Io stesso ho partecipato a passaggi di soldi. E, per quanto ne so, niente è cambiato oggi». Se fossimo in un legal-thriller, Fernando Sonnino, 66 anni, sarebbe la «gola profonda». Per vent’anni ha lavorato con la pubblica amministrazione capitolina, prima come direttore dei lavori e poi come imprenditore. Oggi tratta solo con privati e spesso all’estero.
Che vuol dire «gare truccate in origine»?
«Funzionava così: c’erano gruppi interni all’amministrazione, parlo di tecnici non di politici, che preparavano i bandi a costi che sarebbero stati fuori mercato, con guadagni nulli, se non addirittura perdite, per gli imprenditori. Ma poi, su questa cifra, si aggiungevano compensi soggettivi e fantasiosi».
Dov’è il trucco?
«Che tutti sapevano di questa possibilità. Si raggiungeva un accordo sotto banco e si salvava l’appalto facendolo andare in utile con lavori extra mai fatti. E i fondi pubblici aggiuntivi se li spartivano imprenditori e funzionari».
Serve un esempio.
«Sono stato direttore dei lavori nella realizzazione del cavalcavia dell’Appia Antica, tra via Marco Polo e via Cilicia. Ecco, lì vennero conteggiate anche le opere di un ebanista e di un carpentiere».
Sembra di rileggere una recente inchiesta sulla manutenzione stradale. Prezzi bassi, rincari illeciti, lavori fatti male.
«Ho lavorato anche in quel settore, dove un imprenditore partecipava a uno stesso appalto con più società a lui riconducibili. E questo perché le gare si assegnavano sulla media di gruppi di offerte: dieci del gruppo X, dieci del gruppo Y e così via. In questo modo si poteva stabilire sin dall’inizio il prezzo e un pool di imprenditori in finta concorrenza tra loro vinceva tutto. All’epoca, in Acer erano registrate 1.000 imprese e tra queste ce ne erano alcune che facevano solo lavori stradali. Una sorta di lobby».
Passi per una buca tappata male, ma nel caso del cavalcavia?
«Un’opera realizzata benissimo, perché tutti hanno preso le loro regalie, ma senza andare a discapito della qualità. Altre volte sono stati fatti lavoracci come se ne vedono tanti in giro per Roma, risparmiando magari sulla quantità dell’asfalto utilizzato».
Come avveniva il passaggio di denaro? Come si arrivava a un accordo?
«C’era una percentuale fissa del 3-4%. La richiesta era esplicita ad inzio appalto e su questa si raggiungeva un accordo. Capitava che magari l’impresa mi avvicinasse dicendo: con questi prezzi non si riesce a lavorare, che ci possiamo inventare? Quindi io ero chiamato ad inserire extracosti fasulli. Il cavalcavia, se avessimo lavorato a prezzi di tariffa, anziché 11 miliardi di lire ne sarebbe costati 7-8 all’amministrazione e l’impresa sarebbe andata in perdita».
Non ha mai denunciato?
«All’epoca ero un dipendente, non il titolare, e anche io ho partecipato ai passaggi di soldi, non lo nascondo. Era una prassi consolidata e credo lo sia ancora oggi. Se il calcestruzzo costa 30 euro all’impresa e all’amministrazione viene fatto pagare 27 compreso di messa in opera, com’è possibile che ci sia la corsa a prendere queste commesse? E secondo lei, come mai le grandi imprese straniere non lavorano a Roma? È perché vedono solo la parte in perdita e fuggono. Magari se conoscessero il meccanismo ci si tufferebbero anche loro».
Parliamo dei controlli.
«Allora si trattava in sostanza di mettere in ordine le carte. Quando qualcosa non andava bene, si modificava la voce di spesa per renderla coerente. Ma ci dovrebbero essere verifiche puntuali su ogni opera e una magistratura più presente».
Le sarà però capitato un dirigente che ha detto no...
«Mentirei se le dicessi di sì. Quando venne creato un albo di professionisti da cui attingere per la direzione dei lavori, io da esterno non ho mai ricevuto un incarico perché ero fuori dal giro. Lo stesso quando ho messo in piedi una mia impresa».
Sembra rammaricato, più che pentito.
«Da imprenditore mi sono arreso, da cittadino quasi. Il malcostume romano non ha eguali e qui non ci si può più stare».
Come funziona
«I tecnici del Comune fanno bandi sotto costo. Poi sommano compensi fantasiosi»