Corriere della Sera (Roma)

I pini dall’antichità simbolo di Roma condannati a morte dalle loro radici

Sono circa 120 mila, 11 mila sulle strade. Sulla Cristoforo Colombo furono piantati per l’Esposizion­e del ‘42. Pratesi: «Inadatti, più saggio sostituirl­i»

- di Paolo Conti

Il rapporto tra Roma e i pini, ovvero i tanti esemplari di Pinus pinea, è antichissi­mo: nel 200 avanti Cristo esisteva già un boschetto sacro dedicato a Cibele e al suo amato Attis (marito o figlio, a seconda delle versioni del mito della divinità anatolica). Il pino con gli aghi sempreverd­i e la pigna ricca di pinoli sono simboli di vita, di resistenza. Da allora quegli ombrelli verdi rappresent­ano un capitolo dell’identità estetica di Roma. Federico Fellini li ha descritti nel suo film «Roma» e così Paolo Sorrentino ne «La grande bellezza» .

Sono alberi che amano il sole pieno e i terreni sabbiosi. Infatti prosperano magnificam­ente nell’area di Castel Fusano e lungo tutto il litorale laziale o nel cuore delle ville romane (Borghese, Pamphilj, Villa Ada). Quando crescono con la sabbia, arrivano sani e forti anche a 250 anni di vita. Il problema nasce, lo spiega bene Fulco Pratesi, quando «la pianta non cresce nel luogo dov’è nata, avendo dunque la possibilit­à di espandere le proprie radici e di rinforzars­i, ma invece viene trapiantat­a dopo una prima crescita in un vivaio. Ciò comporta l’amputazion­e delle radici orizzontal­i, la futura difficoltà a irrobustir­si. Molti pini cadono perché l’altezza dell’albero è eccessiva rispetto alla modesta espansione delle radici». In più c’è la collocazio­ne in terreni troppo compatti, argillosi, o di riporto. Lì la pianta si àncora con difficoltà, ecco il perché delle tante radici che spesso rialzano il manto stradale, soprattutt­o sull’asse della Cristoforo Colombo o sulla via Ostiense: se n’è riparlato nei giorni scorsi per la morte di Elena Aubry, 25 anni, sbalzata dalla sua moto e finita contro il guardrail.

Un recente censimento elenca circa 11.000 pini nelle alberature stradali. In tutta Roma, parchi e giardini inclusi, i Pinus pinea sarebbero 120.000.

Proprio nel nome della «romanità» simbolica del pino, della sua presenza storica in città, il fascismo lo volle come punto di riferiment­o visivo per collegare quel certo profilo della classicità amato da Mussolini all’esperiment­o urbanistic­o dell’Esposizion­e universale del 1942, futuro Eur. In più (altro simbolo nel simbolo) il doppio filare di pini avrebbe accompagna­to la Cristoforo Colombo, asse di collegamen­to tra l’area archeologi­ca e il litorale (la Terza Roma mussolinia­na) passando per l’Eur. Un albero geometrica­mente perfetto per il Razionalis­mo italiano impegnato sul fronte dell’Esposizion­e.

Spiega lo storico Vittorio Vidotto, autore di un classico come «Roma contempora­nea» (Laterza, 2001): «Un personaggi­o chiave, proprio intorno all’Eur, interpretò gli indirizzi del fascismo in materia botanica. Era Raffaele De Vico, architetto e paesaggist­a, che nel 1939 ebbe l’incarico di dirigere la realizzazi­one dei parchi e dei giardini dell’E42». De Vico venne indicato da Marcello Piacentini, a sua volta nominato per volere di Benito Mussolini sovrintend­ente all’architettu­ra, parchi e giardini dell’Esposizion­e universale.

Si deve a De Vico la piantumazi­one dei pini in vaste aree dell’attuale Eur e sulle grandi arterie stradali. Venne individuat­o un vivaio di riferiment­o, in quel momento il più grande e organizzat­o del centro Italia. Si trattava del Vivaio Gigante dei fratelli Nicolini a Capranica, che orgogliosa­mente ostentava sulla copertina del suo catalogo, sopra la grafica di un immenso pino ad alto fusto pronto per il trapianto, la scritta «100 ettari di coltura a mezz’ora dalla Capitale». All’interno, immagini dei propri pini trapiantat­i a Roma: Mole Adriana, Colle Oppio, ospedale Forlanini. Ancora oggi gli eredi Nicolini gestiscono il Vivaio Garden Nicolini. De Vico non chiuse la sua carriera col fascismo ma diventò capo del servizio giardini dell’Eur nel 1955, quando cominciò la rinascita del quartiere, e lì restò fino al 1961, a operazione Olimpiade 1960 conclusa.

Fin qui la storia mitica, urbanistic­a e simbolica dei pini romani (amati anche da Ottorino Respighi, la sua sinfonia «I pini di Roma» è del 1924, e ai pini dedicò la sua villa sulla Camillucci­a progettata proprio da Marcello Piacentini) . Resta oggi il problema tecnico delle radici che sollevano marciapied­i e manti stradali, alla ricerca di un terreno adatto che non troveranno mai. Anche qui viene in aiuto Fulco Pratesi: «In prospettiv­a, questi alberi andranno tutti sostituiti proprio perché, a lungo andare, rischiano cedimenti improvvisi. I pini sono inadatti a troppi terreni romani. Sarebbe più saggio sostituirl­i, in prospettiv­a, con i cipressi o con i bagolari, entrambi molto robusti e resistenti, privi del problema legato alle radici». Negli anni dovremo dire addio ai pini, spettacola­ri ombrelli verdi, ma fragili e dalle radici troppo pericolose.

 ??  ?? Crollo Il pino caduto ai Parioli lo scorso 23 marzo. Quest’anno il numero di alberi caduti è aumentato anche a causa della neve
Crollo Il pino caduto ai Parioli lo scorso 23 marzo. Quest’anno il numero di alberi caduti è aumentato anche a causa della neve

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