«Minacciata di morte per farmi prostituire»
Il racconto di Sophie, ex squillo ora in località protetta: ha denunciato gli sfruttatori
«Mi hanno detto che mi avrebbero ammazzato se non mi prostituivo. E se non paga- vo, gli sfruttatori erano capaci di uccidere anche i miei». È una ragazza nigeriana, 20 anni, che chiameremo Sophie, a raccontare il dramma che ha vissuto prima di avere denunciato la maitresse che la sfruttava per conto di una banda. Così ha ottenuto il permesso di soggiorno per motivi di giustizia. Ma nelle strade le prostitute sono 7 mila: la mappa della prostituzione.
«Non so quando, ma presto dovrò testimoniare in tribunale contro chi mi sfruttava. E ho paura, tanta paura. Per me, per mio figlio e per i miei parenti che sono rimasti in Nigeria». Sophie (nome di fantasia) ha 20 anni, ora vive in una struttura protetta fuori Roma. A darle una possibilità di avere una nuova vita sono le volontarie della comunità Papa Giovanni XXIII, fondata 50 anni fa da don Oreste Benzi. Una scommessa per tutte, ma soprattutto per la giovane mamma salvata dalla strada. Sophie parla un discreto italiano, imparato grazie ai corsi organizzati in comunità dove vive col suo bambino, nato qui in Italia. «La verità è che se non paghi, gli sfruttatori sono capaci di uccidere te e i tuoi, se non saldi i debiti che dicono che hai con loro», spiega la ragazza che, dopo essersi sganciata e aver denunciato la maitresse che la gestiva sfruttandola per conto di una banda di connazionali, ha ottenuto il permesso di soggiorno per motivi di
giustizia. Un premio per chi decide di chiudere con il passato e fa arrestare gli ex «protettori».
Sophie, perchè è in Italia? «Vivevo in una città della Nigeria dove non c’è niente, nessun futuro. Non c’è nemmeno da mangiare, nè la possibilità di aiutare la famiglia: un giorno vengo convinta da un’amica e un amico a partire per l’Italia. “Lì c’è il lavoro, vedrai, farai
tanti soldi”, mi dicevano. E così sono partita».
Un viaggio drammatico. «Molto faticoso, durato tre mesi: da una città all’altra in pullman, dalla Nigeria alla Libia. Poi l’attesa lunghissima prima di imbarcarsi per arrivare in Italia. Durante questo periodo non mi hanno detto niente, solo di non preoccuparmi perchè avrei guadagnato tanto da poter mandare i
soldi a casa. Nel giugno di due anni fa sono sbarcata in Sicilia e mi hanno portata in un centro a Monreale».
E poi?
«Lì sono stata contattata da un’altra ragazza che mi ha detto di partire subito per Roma perché c’era una donna fidata che mi aspettava e mi avrebbe aiutato: sono scappata dal centro e sono partita ma quando sono arrivata ho capito che il lavoro non c’era e avrei dovuto fare altro... Quella non era una donna amica, era una madame..».
Che ti ha detto?
«Che avrei dovuto prostituirmi sulla Tiburtina e che ero in debito con lei di 25 mila euro perché mi erano stati anticipati i soldi per arrivare a Roma. Ero diventata una schiava, le dovevo dare tutti i soldi guadagnati per strada».
Ma non è possibile scappare dagli sfruttatori?
«È molto complicato, sono molto cattivi. Fanno riti magici, voodoo con i capelli che ti strappano. E tu hai paura, se
non paghi ti ammazzano». Quanto è durata?
«Fino a ottobre scorso. Non ce la facevo più. Per incontrare i clienti mi portavano per strada o in appartamento. In un’altra casa mi facevano dormire, ma sempre controllata. Ogni tanto le pattuglie si fermavano per parlare con me, mi dicevano che non potevo stare sul marciapiede, che dovevo andare via. Ma non mi hanno aiutato. Così quando si sono avvicinati i volontari della Comunità per dirmi che potevo scegliere un’altra vita, mi sono presa due settimane per pensarci e poi li ho seguiti qui».
E ha mollato tutto.
«Ho anche denunciato la madame, che hanno arrestato poco dopo. E adesso dovrò testimoniare contro di lei e gli altri della banda».
Cosa vorresti ora? «Trovare un lavoro. Mi sento pronta per assistere persone anziane. Ho un bimbo piccolo, devo dargli un futuro..».
Tiburtina «Spesso gli agenti si sono fermati per controlli ma non mi hanno aiutato»