DEGRADO, I ROMANI SI ATTIVINO
Ituristi maleducati. Gli immigrati invadenti. I rom ladri. I politici arroganti. Le strade che hanno più buche di campi da golf. Il traffico asfissiante. Il lezzo della spazzatura che si erge a nuovo simbolo monumentale. Il rumore infernale di un tutto che assorda. E i romani? Che fanno i discendenti dei fieri cives della Roma caput mundi? Dove sono? Oltre al disappunto, alle critiche, alle chiacchiere, alle pretese, come difendono la loro città? Come si attivano?
Giulio Andreotti, romano dalla battuta pronta, osservò che uno dei modi di cavarsela per spiegare i mali di Roma era dire che «c’è troppa popolazione: però attenzione, perché anche quando erano solo due, uno uccise l’altro». Dobbiamo essere onesti: se la Capitale è ridotta così male non è solo colpa del susseguirsi di sindaci incapaci ma anche di chi ci abita e non la rispetta. I cafoni, gli arroganti, i senza scrupoli, i ladri, i profittatori, i cravattari, ma anche i pavidi «benpensanti» che non vogliono sporcarsi le mani e gli intellettuali chiusi nei loro salotti foderati di molte parole e zero impegno. Ecco chi ha pugnalato Roma, chi la usa, la sfrutta o anche solo non capisce neanche dove si trova.
Se Ottavio Augusto si vantava di aver trovato una città di mattoni e di restituirla al suo popolo «di marmo», oggi dobbiamo dire che la storia ci ha consegnato un patrimonio inestimabile di arte, di bellezze, e noi siamo pronti a tramandare una sorta di ottavo colle fatto di spazzatura e ignoranza.
Alemanno, Marino, Raggi: potremmo avere il migliore degli amministratori a livello mondiale, ma se non impareremo a farci carico del bene comune, a capire che fuori della porta di casa non finiscono i nostri doveri, non potremo mai vivere in una città pulita, bella, efficiente. Tutte le Ama del mondo, eserciti di vigili e migliaia di autobus, e reti infinite di metropolitane non basteranno a cambiare volto a una città che non ama se stessa. Milano non è bella, cosmopolita, accogliente per caso. Ha vissuto anni bui, è stata brutta, triste, laterale. Il suo Rinascimento non è stato solo opera di bravi sindaci, ma di una volontà corale. Quel coro che a Roma ancora non si vede. Forse, anche solo per pigrizia. Perché, come scrisse in un bellissimo sonetto Aldo Fabrizi, il romano “risparmia er fiato ar massimo che po’, dondola la capoccia pe’ di’ no, e abbassa l’occhi si ha da di’ de sì”.