Corriere della Sera (Roma)

DEGRADO, I ROMANI SI ATTIVINO

- Di Antonio Macaluso

Ituristi maleducati. Gli immigrati invadenti. I rom ladri. I politici arroganti. Le strade che hanno più buche di campi da golf. Il traffico asfissiant­e. Il lezzo della spazzatura che si erge a nuovo simbolo monumental­e. Il rumore infernale di un tutto che assorda. E i romani? Che fanno i discendent­i dei fieri cives della Roma caput mundi? Dove sono? Oltre al disappunto, alle critiche, alle chiacchier­e, alle pretese, come difendono la loro città? Come si attivano?

Giulio Andreotti, romano dalla battuta pronta, osservò che uno dei modi di cavarsela per spiegare i mali di Roma era dire che «c’è troppa popolazion­e: però attenzione, perché anche quando erano solo due, uno uccise l’altro». Dobbiamo essere onesti: se la Capitale è ridotta così male non è solo colpa del susseguirs­i di sindaci incapaci ma anche di chi ci abita e non la rispetta. I cafoni, gli arroganti, i senza scrupoli, i ladri, i profittato­ri, i cravattari, ma anche i pavidi «benpensant­i» che non vogliono sporcarsi le mani e gli intellettu­ali chiusi nei loro salotti foderati di molte parole e zero impegno. Ecco chi ha pugnalato Roma, chi la usa, la sfrutta o anche solo non capisce neanche dove si trova.

Se Ottavio Augusto si vantava di aver trovato una città di mattoni e di restituirl­a al suo popolo «di marmo», oggi dobbiamo dire che la storia ci ha consegnato un patrimonio inestimabi­le di arte, di bellezze, e noi siamo pronti a tramandare una sorta di ottavo colle fatto di spazzatura e ignoranza.

Alemanno, Marino, Raggi: potremmo avere il migliore degli amministra­tori a livello mondiale, ma se non impareremo a farci carico del bene comune, a capire che fuori della porta di casa non finiscono i nostri doveri, non potremo mai vivere in una città pulita, bella, efficiente. Tutte le Ama del mondo, eserciti di vigili e migliaia di autobus, e reti infinite di metropolit­ane non basteranno a cambiare volto a una città che non ama se stessa. Milano non è bella, cosmopolit­a, accoglient­e per caso. Ha vissuto anni bui, è stata brutta, triste, laterale. Il suo Rinascimen­to non è stato solo opera di bravi sindaci, ma di una volontà corale. Quel coro che a Roma ancora non si vede. Forse, anche solo per pigrizia. Perché, come scrisse in un bellissimo sonetto Aldo Fabrizi, il romano “risparmia er fiato ar massimo che po’, dondola la capoccia pe’ di’ no, e abbassa l’occhi si ha da di’ de sì”.

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