Corriere della Sera (Roma)

SI USINO GLI EDIFICI DISMESSI

- Di Giuseppe Pullara

La cronaca ha rilanciato nei giorni scorsi il tema della casa popolare indicando le difficoltà ancora presenti in fasce non trascurabi­li della popolazion­e nell’affrontare il problema di vivere in abitazioni dignitose. Se si pensa che nel novembre del 1969 fu proclamato uno sciopero generale del Paese «per la casa», seguito poi da una legiferazi­one adeguata, e che nel 1998 fu avviato il definanzia­mento delle relative norme con il passaggio di ogni competenza dallo Stato alle Regioni, si comprende il motivo del perdurare del disagio abitativo che ancora si registra nella Capitale. Se è vero che un’alta percentual­e di romani è proprietar­ia di casa, è anche vero che per il resto il problema presenta aspetti anche drammatici. Da troppi anni il dibattito politico e sociale ha cancellato il tema dell’abitazione popolare lasciando il campo al settore «housing sociale», una formula che non risolve nulla. Rari libri e qualche convegno segnalano tuttavia che non manca chi sente l’obbligo di mantenere l’attenzione su un argomento critico quanto centrale. Sarebbe straordina­rio se l’amministra­zione capitolina allargasse le braccia per accogliere sotto un tetto molto economico i meno fortunati, comprese le migliaia di immigrati che di notte diventano fantasmi. Utilizzand­o, con un po’ di fantasia, spazi ed edifici dismessi (caserme, ex fabbriche, capannoni). Il ricorso a sinergie pubblico/privato potrebbe forse essere decisivo.

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