Quando Ronchey iniziava la stagione e Ciampi prendeva il pattino
Negli anni Sessanta e Settanta le date dell’estate erano ingessate, assolutamente non modificabili: il semaforo verde scattava il 1° giugno, non il 31 maggio. E si aprivano le case sul litorale, da Santa Marinella e Fregene a Nord fino a Anzio a Sud (l’Argentario e Sabaudia erano considerati luoghi lontani, quasi esotici). Tra i totem dell’estate romana Ugo Tognazzi, che organizzava a Torvaianica gare di cucina, l’ex ministro Alberto Ronchey e l’ex presidente della Repubblica Ciampi.
Adesso al mare i romani ci vanno tutto l’anno: può essere anche dicembre, gennaio, ma se c’è una giornata di sole li vedi da Mastino a Fregene, o a Ostia alla Vecchia pineta che mangiano gli spaghetti con le telline. Un tempo, le date del mare erano dei muri di Berlino assolutamente invalicabili. Il primo giugno, non il 31 di maggio, si riaprivano le case a Anzio, a Fregene, a Santa Marinella; i «giornalieri» esibivano con molte esitazioni il corpo pallido al Gambrinus o all’Albos, o sulla spiaggia allora puritana di Capocotta, vicina a quella di Torvaianica nota per il torneo di tennis che nella sua villa organizzava Ugo Tognazzi; e a Fregene Alberto Ronchey montava sul suo pattino. Il trenta settembre, Ronchey tirava in secco il pattino; gli stabilimenti smontavano le cabine e toglievano gli ultimi ombrelloni; le case venivano chiuse e affidate alla lunga penombra che sarebbe durata otto mesi; i giardini o i giardinetti alle cure di «qualcuno del posto».
Ma che emozione, il primo giugno dell’anno successivo, sentire quell’odore di materassi umidi e di marmellate inacidite nella dispensa, trovare sul divano un numero del Corriere dello sport, nei cassetti un quaderno dimenticato e magari l’inchiostro dei compiti delle vacanze, in un armadio la maglietta che a Roma era sparita.
Se le date marine erano invalicabili, dalle famiglie romane, altrettanto incrollabili erano le scelte riguardanti i luoghi tramandati da generazioni della villeggiatura marina, suddivisi principalmente fra il nord che era Santa Marinella, nobilitato dalla presenza di Ciampi in bicicletta, il centro che era Fregene, il sud che era Anzio (Sabaudia e l’Argentario essendo ancora considerati lontani, quasi esotici, o per ricchi).
Talmente incrollabili da aver creato delle specie antropologiche di tipo marinaresco, per cui se uno lo vedevi per strada, senza conoscerlo, oppure gli sentivi dire tre parole, immediatamente sapevi che quello andava a Santa Marinella, e mai avrebbe cambiato posto, non dico per Porto Santo Stefano, ma neppure per la contigua Santa Severa; così come glielo leggevi in faccia a quelli che andavano a Fregene, non al contiguo Villaggio dei Pescatori; mentre per gli abitudinari di Anzio, che non avrebbero cambiato il proprio appartamento con uno di pari metri quadrati in Costa Azzurra nemmeno per tutto l’oro del mondo, con loro andavi sul sicuro pure a occhi chiusi: tu stavi in una stanza con degli amici, in un’altra stanza c’era una ragazza silenziosa che non avevi ancora mai visto, e tu lo sentivi: «Vuoi scommettere che di là c’è una ragazza che l’estate va a Anzio?». Le ragazze che a quell’epoca andavano tre mesi ad Anzio, o a Fregene, o a Santa Marinella, erano in maggioranza molto carine e attraenti sia in costume da bagno la mattina, che vestite quando «si andava nelle case» per le riunioni, attorno alle sei di pomeriggio, sia a settembre quando arrivavano i primi freddi e loro si mettevano quei golfetti «americani» di cotone blu a giro collo, per il gelato delle otto o la pizza che costava cinquanta lire. Anche gli orari erano ferrei. Alle due – per esempio ad Anzio, sulla spiaggia di Ponente – i ragazzi facevano la partita di pallone fino a quel momento impedita dai bagnini, ma sotto gli ombrelloni non si vedeva anima viva: stavano tutte a tavola, alle due, regolari, le famiglie che frequentavano Anzio; e cominciavano col primo, continuavano con il secondo, i contorni e la frutta. Quanto si mangiava!
La colazione con i cornetti, alle undici la bomba con la crema, il pranzo, la merenda, il gelato o la pizza prima di cena, la cena. Era normale. Così come era impensabile, dopo pranzo, non ficcarsi sotto le lenzuola.
Chi non aveva una casa, la domenica prendeva la macchina, si incolonnava pazientemente sull’Aurelia o sulla Cristoforo Colombo e approdava a Fregene o a Ostia. Anche in questo caso la fauna dipendeva parecchio dallo stabilimento.
Per dire, il grassone che in «Roma», il film di Fellini, in quella meravigliosa scena di estate romana notturna, si mette la crema per scottature, non lo avresti mai trovato al Miraggio o al Gambrinus. Al Gambrinus, su quella spiaggia quasi nera che raggiungeva i cinquanta gradi ma abbronzava magnificamente, trovavi bellezze assai provocanti
Andare al mare Era tutta questione di calendario: non si poteva sfuggire (come sapeva Ostia)
Nord o Sud? Bastava niente per capire se le vacanze si facevano ad Anzio o a Santa Marinella...
I «giornalieri» E poi c’erano i bagnanti di un solo giorno, sulla via del Mare, dritti agli stabilimenti
che sul lettino potevano starci a pancia in giù delle ore.
Ma quelle, chi erano? Perché a Roma quelle non le vedevi, dove stavano a Roma? Magari erano attricette? Può darsi. Sicuramente erano attricette, se accanto avevano la figura allora inconfondibile del produttore. Lui, trenta o poco meno anni di più, una pancia notevole, se ne stava beato all’ombra.
Poi, alle due, lei indossava gli zoccoli col tacco alto, lui una magliettaccia e andavano al ristorante dove lei mangiava poco, lui di più, e una bottiglia di vino bianco era nel cestello del ghiaccio; tornavano; il produttore accendeva una sigaretta e poco dopo piombava nel sonno; lei, rassicurata dalle promesse ricevute poc’anzi, prima che si addormentasse gli mandava un bacio sulla punta delle dita.
8 - fine