Bombe e minacce Clan Spada story
Nelle carte della procura i delitti e le intimidazioni del clan
Chi sono le vittime che non si sono presentate al processo contro il clan Spada per chiedere giustizia? Le loro storie raccontano un decennio di metodo mafioso ad Ostia.
Estorsioni, omicidi, usura e attentati, diventati capi d’imputazione nell’ordinanza Eclisse — che a gennaio ha portato in carcere 32 persone — ancora oggi lasciano nella paura chi li ha subiti.
Il titolare della agenzia immobiliare in via Vasco de Gama poteva incorrere in danni non solo materiali quando Paul Dociu, oggi gola profonda sui delitti del clan, lanciò una molotov nel negozio. Era il pomeriggio del 16 novembre 2011 e nell’agenzia, che andò in parte distrutta dalle fiamme, c’erano dipendenti e clienti, rimasti per fortuna indenni. Dociu avrebbe agito, secondo il suo stesso racconto, su direttiva di Vincenzo Spada e ordine diretto di Ottavio Spada per dei contrasti sui mutui di una compravendita. Il titolare dell’agenzia, nel presentare denuncia contro ignoti, mise a verbale: «Non ho subito minacce e tanto meno ho ricevuto richieste estorsive che possano spiegare una tale azione».
Cinque giorni dopo, un trattamento analogo fu riservato a un presunto informatore della polizia (oggi defunto) che alle sette del mattino vide andare a fuoco la sua Alfa Romeo nel parcheggio di piazza Stazione Vecchia a Ostia Lido, di fronte agli uffici del Municipio. Anche di questo attentato Dociu si è preso la responsabilità, dicendo di aver agito su ordine di Ottavio Spada, detto Marco. «Il dato veramente caratterizzante — annota il giudice che ha firmato gli arresti — è stato che il proprietario non ha sporto denuncia, ossia che tale è la sfiducia nella possibilità di intervento dello Stato che le forze di polizia, e in conseguenza la magistratura, non sono state neanche notiziate dalla persona offesa». Il giudice sottolinea poi come i due attentati siano arrivati negli stessi giorni del duplice omicidio di Giovanni Baficchio Galleoni e Francesco Antonini, tappa decisiva nell’ascesa del clan.
Rispetto agli incendi, andò peggio alla donna che nel luglio 2006, per un debito su una partita di hashish contratto dal figlio con membri del clan, fu costretta a scambiare la propria abitazione privata di via Guido Vincon con l’alloggio popolare dove Roberto Spada viveva in via Marino Fasan. Il saldo in termini di metri quadrati fu ovviamente a vantaggio del secondo. La «compensazione» avvenne, come hanno ricostruito le indagini della Dda, «dietro l’implicita minaccia di pesanti ritorsioni».
Altre due donne sono state costrette a cedere agli Spada le proprie attività, uno stabilimento balneare e un ristorante con maneggio a Ostia Antica, tanto da trovarsi come soci o dipendenti «obbligati» uomini fidati del clan. Nel primo caso, anno 2015, «l’esproprio» con intestazione fittizia si è avvalso di complicità burocratico-amministrative nel Municipio all’interno di un «piano di occupazione» dei più prestigiosi lidi.
«Le due estorsioni — scrive il giudice — sono ricostruite con l’attenzione meticolosa di chi punta a riprendere il controllo del territorio. Essi (gli Spada, ndr) si fanno interlocutori di vittime più o meno collaborative e i fatti sono spaventosamente contestuali, a riprova di contegni divenuti ormai sistema».
Auto a fuoco Il giudice ha fatto notare che «il proprietario non si è rivolto alle forze dell’ordine»
Estorsioni Due donne sono state costrette a cedere un lido e un ristorante