Flaminio casa del rugby: c’è un piano
Coni e Fir lo hanno commissionato uno studio di recupero e di rilancio
Con la chiusura del Palazzetto dello sport di viale Tiziano per almeno due anni (il Campidoglio ha messo a bilancio 3 milioni di euro per i lavori di ristrutturazione e di adeguamento degli impianti), lo sport attivo lascia un altro dei suoi luoghi di elezione.
Lì di fronte, com’è tristemente noto, da anni è chiuso e versa in uno stato di totale abbandono lo stadio Flaminio, il gioiello del quartiere olimpico ideato da Pierluigi Nervi per i Giochi olimpico del 1960.
A febbraio scorso negli spogliatoi fu trovato morto un cingalese, due mesi dopo invece una «task force» di volontari, grazie a una iniziativa promossa dal Credito Sportivo e da Retake Roma, ha provato a bonificare l’area esterna, raccogliendo quasi cento quintali di rifiuti.
Adesso, dopo altri due mesi, siamo di nuovo da capo: anche se ci sono tanti buoni propositi, con lo stadio Flaminio continua a vivere il suo destino di mausoleo dimenticato.
L’assessore allo Sport capitolino Daniele Frongia ha parlato di un percorso di recupero basato su uno studio dell’Università La Sapienza insieme con la Pier Luigi Nervi Project Association che prevede un piano di conservazione finanziato dalla «Getty Foundation».
L’ultima proposta invece arriva da Coni e Federugby che hanno commissionato un progetto preliminare di recupero e rilancio dell’impianto. Senza intervenire sulla struttura di Nervi, si punterebbe infatti a creare una casa del rugby italiano, con tutti gli uffici federali (attualmente situati nella curva Sud dell’Olimpico) che verrebbero spostati nella pancia dello stadio. Nel progetto il campo diventerebbe sede fissa di una franchigia professionistica italiana (le Zebre potrebbero traslocare da Parma) e ospiterebbe tutti quegli eventi agonistici che coinvolgono la Nazionale, fatta eccezione per gli incontri del Sei Nazioni oramai di casa all’Olimpico. Quattro ristoranti, «Casa Italia» come punto di ritrovo per il mondo del rugby e i suoi sponsor, poliambulatori e palestre, potrebbero rendere economicamente sostenibile il progetto. Il Coni gestirebbe alcuni spazi interni e gli eventi extra rugbistici, in una sinergia che potrebbe restituire alla città un impianto in cui si è scritta la storia dello sport cittadino (e non solo). E che al momento è ridotto a discarica. Di rifiuti e di idee.