«Il Capitale» di Marx debutta all’Argentina
All’Argentina va in scena «Il Capitale» con la regia di Marco Lucchesi Lo spettacolo alterna pagine del testo a storie di strada, musica e poesia
Un’opera di alta letteratura che si fa teatro. Venticinque giovani artisti, tra attrici, attori, drammaturghi, compositori, storici e critici, pronti a dar vita al Capitale di Karl Marx. Il Capitale di Karl Marx (Quasi un vangelo apocrifo) è lo spettacolo che da giovedì al Teatro Argentina rivelerà l’attualità del testo, a duecento anni dalla nascita del filosofo.
La produzione è del Teatro di Roma, con il conservatorio di Santa Cecilia, l’Istituto dell’Enciclopedia Treccani, il Mibact e il liceo artistico Via di Ripetta. Lo spettacolo è il frutto di un anno di laboratori e letture condotte da Marco Lucchesi, che intesse una drammaturgia di tesi contro tesi, antitesi e riflessioni. L’alto ed il basso dei pensieri marxiani. Pagine di pura letteratura si alternano a racconti di strada, che si rincorrono schizofrenici prendendo la forma di dialoghi recitati e in brevi monologhi, citazioni o azioni sceniche.
Una scalinata occupa tutto il palco del teatro e offre agli attori numerosi palcoscenici a diversi livelli di altezza. Luoghi simbolo della scala sociale, mistica, filosofica, umana. Un rigore quasi scientifico permea le riflessioni sul lavoro, sul denaro, sull’economia, sulla ricchezza e sulle relazioni umane.
«Nell’attuale crisi storica, estetica, artistica, dei segni e dei simboli, la gioventù patisce il proprio disorientamento. Può il teatro affrontare
questa riflessione? Penso che debba, consapevole della propria parzialità, della propria necessità, della propria umanità — osserva Marco Lucchesi –. E c’è un ulteriore risvolto: da sempre, ma ancor più, in un momento difficile di questo nostro lavoro, la formazione qualitativa, umanistica e strutturale di nuove attrici e attori, coscienti e consapevoli delle proprie attitudini, è un processo fondamentale per la costruzione di future opportunità di lavoro».
Il Capitale così rivisitato si offre come un vero e proprio «Vangelo apocrifo», senza ormai paternità politiche o confessionali.
La musica accompagna i dialoghi sul plusvalore e sul profitto. L’opera si alterna alla prosa, il canto al poema, la «canzone di giacca» napoletana alla poetica di Bob Dylan e a Luis Bacalov con le note di Estaba la madre, sulla tragedia argentina. Ecco così snodarsi davanti al pubblico una sorta di «bibbia
marxiana», simbolicamente interpretata da un’attrice, affiancata in scena da altri attori della scuola di perfezionamento del Teatro di Roma e da quindici cantanti del conservatorio di Santa Cecilia. La vicenda è ambientata nella realtà attuale. Molti concetti sono cambiati ma il solchi restano, e sono profondi: «Il povero non è solo chi non ha da mangiare e i ricchi sono una specie di divinità. In scena— spiega il regista —, ci sarà chi incarna la produzione e chi il plusvalore, in un aspro e disperato confronto».
Rivisitazione
La vicenda è spostata nel presente. Si ascoltano brani di Dylan e Bacalov