Popolizio: «Il mio omaggio a Philip Roth»
Un omaggio a poco più di un mese dalla morte dello scrittore. Il romanzo è un affresco grottesco. Bellissimo e terrificante
Le istituzioni hanno una visione modesta. Se la cultura si misura con il richiamo turistico siamo rovinati
La rassegna La lettura è ospitata da «Venti d’estate» che propone incontri sulle connessioni fra le arti
Massimo Popolizio domani sull’Isola Tiberina nel reading dedicato a «Pastorale Americana», premio Pulitzer nel 1998 «Ma questa città, affetta da provincialismo, è culturalmente distante dalla potenza dello scrittore statunitense»
Massimo Popolizio legge domani Pastorale Americana di Philip Roth, premio Pulitzer per quel suo lavoro nel 1998, sull’Isola Tiberina. Una pietra miliare della letteratura del 900 per un attore che ha già interpretato il romanzo per gli audiolibri Emons. Roth in un’arena estiva. Un azzardo?
«Saremo in un angolo riparato, ospiti di Venti d’estate di Silvia Barbagallo, Santa di Pierro e Debora Pietrobono». Quali parti leggerà?
«Il nucleo centrale, e parte delle considerazioni finali. Leggerlo tutto sarebbe stato impossibile: ottanta ore di registrazione e diciotto ore la versione audio. Stefano Gallerani con i suoi interventi supplirà con la spiegazione di ciò
che tralasceremo. Quella di Roth è una scrittura difficile, priva di punteggiatura, dai lunghi incisi». Perché Roth?
«È un omaggio a poco più di un mese dalla morte. Pastorale è un affresco grottesco di tutte le utopie americane. Bello e terrificante. “Lo svedese” è il soprannome di Seymour Levov, alto, biondo, ebreo, campione di baseball nell’America anni 50, simbolo di successo anche nella vita. Ma la guerra del Vietnam vede la figlia trasformarsi in una violenta radicale, e lui fare i conti con il crollo dell’american dream. Una parabola descritta dallo scrittore Nathan Zuckerman, alter ego di Roth». Non è difficile ritrovarsi.
«C’è la scena della festa a 40 anni dalla laurea, con donne un tempo bellissime rovinate dall’età, e uomini finiti in galera, falliti sotto tanti punti di vista. Nel collasso americano tutti ci possiamo identificare, ma qualcosa di molto tragico è successo negli Usa. Là c’è l’Oceano, noi siamo un piccolo mare. Parte di quella storia più grande». Stessi esiti, però.
«In America lo spirito religioso e conservatore è fortissimo. La disillusione ha avuto come conseguenza una violenza fuori misura - armi in mano a chiunque e record di
omicidi - che in Italia non si è verificata. Una psicosi collettiva». Come descriverebbe il reading da Roth?
«Un approfondimento in una città affetta da provincialismo e dove le proposte di livello scarseggiano. L’estate romana sembra un Festival dell’Unità permanente».
Cosa pensa più in generale della vita culturale a Roma?
«Siamo lontani chilometri dalla potenza di Roth! Anche chi, come lo Stabile, insegue significati più alti, ha a che fare con istituzioni con cui è difficile avere un rapporto e che hanno una visione molto modesta. L’altro giorno passavo per il Circo Massimo, dove viene proiettato Il Gladiatore con orchestra. Ho provato scoramento. Se l’asticella culturale si misura con il richiamo turistico siamo rovinati». Programmi futuri?
«Di nuovo Copenaghen a teatro, e Un nemico del popolo di Ibsen di cui sarò regista e interprete con Maria Paiato, a marzo all’Argentina».