Paolo Genovese, libro e film all’Isola Tiberina
L’autore di «Perfetti sconosciuti» presenta il film «The Place» e il suo romanzo d’esordio, «un manuale di sopravvivenza»
«Non amo stare al centro della scena, preferisco dietro la cinepresa. Ma mi piace sempre incontrare il pubblico, ogni volta è più quello che ricevo di quello che do. Un aggiornamento necessario, se non lo fai non funzioni più bene. Come con i cellulari». Paolo Genovese stasera si presenterà al pubblico dell’Isola Tiberina in doppia veste: da regista con la proiezione del film The Place e come scrittore per il suo romanzo d’esordio, Il primo giorno della mia vita (Einaudi) Due opere, racconta, nate seguendo l’istinto, senza fare troppi calcoli.
«The Place» si svolge all’interno di un locale, con Valerio Mastandrea sempre seduto allo stesso tavolo.
«È un piccolo grande film a cui sono molto legato. Lo spunto arrivò da una serie, The Boot At The End, l’ho girato in soli dodici giorni, con un’atmosfera un po’ da opera prima grazie a amici, undici attori meravigliosi, che hanno accettato di esserci a scatola chiusa. Era un rischio e sono felice che l’esperimento sia riuscito, ormai è stato venduto in quasi sessanta paesi».
E il romanzo di esordio, da cosa è nato?
«È una specie di manuale di sopravvivenza, ruota attorno a quattro amici che decidono di togliersi la vita. Trovata la storia mi sono preso la libertà di scriverla seguendo solo i miei tempi, privilegio che sul set non hai. Siamo già alla terza ristampa, non me l’aspettavo. Evidentemente il tema interessa, tocca da vicino tante persone: viviamo tempi confusi, il mal di vivere è molto diffuso. E qui c’è il bisogno di essere salvati, di trovare qualcuno che tenda una mano, di credere che ci sia la possibilità di riscattarsi anche in momenti difficilissimi».
È già pronto a farne un film, vero?
«Pronto ancora no, sarà una co-produzione internazionale,lo girerò a New York in inglese. Visto anche come ha reagito il pubblico, ho voglia di ri-raccontare la storia con il mezzo che mi è più congeniale, il cinema».
Intanto «Perfetti sconosciuti» continua da tre anni a fare il giro del mondo, per non parlare dei vari remake.
«In Cina, dove ha superato ogni aspettativa di incassi, è uscito in versione originale. Il che dimostra che dovremmo dare più fiducia al nostro cinema, proteggerlo di più come fanno i francesi: distribuire i nostri film all’estero e, dopo, concedere i diritti di remake. Se fosse uscito in Spagna o in Francia prima avrebbe fatto stessi numeri dei remake, come è accaduto in altri paesi».
Dopo la serie tv da «Immaturi» anche «Tutta colpa di Freud» avrà una versione tv. Succederà anche per «Perfetti sconosciuti»?
«No, quella è una vicenda chiusa, non ci sono altri snodi narrativi».
Ama le arene anche da spettatore?
«Certo, ho iniziato con Massenzio di Nicolini. È un modo diverso dalla fruizione del film in sala, più da spettacolo popolare: c’è chi fuma, ci sono i bambini che corrono, le famiglie insieme, le battute. E, a proposito di arene estive, devo dire che anche io, come tante gente di cinema, sono un convinto sostenitore dell’attività dei ragazzi del Piccolo America. È qualcosa di importante, dimostra un profondo amore per Roma che ne ha bisogno. Non hanno mollato, spero che il loro esempio sia contagioso».
❞ Piccolo America Sono un convinto sostenitore dell’associazione. Spero che sia un esempio contagioso